Attualità - 30 novembre 2016, 18:16

Ventimiglia: il gruppo Archeonervia localizza la fonte Dragorigna, il racconto della scoperta

"Più volte in passato abbiamo cercato di localizzare la fonte Dragorigna che ci veniva indicata alle pendici del monte Testa d'Alpe senza riuscirci, ma quando siamo stati accompagnati sul luogo dal noto fotografo di Ventimiglia signor Danilo Mariani ne abbiamo capito la ragione".

"Più volte in passato abbiamo cercato di localizzare la fonte Dragorigna che ci veniva indicata alle pendici del monte Testa d'Alpe senza riuscirci, ma quando siamo stati  accompagnati sul luogo dal noto fotografo di Ventimiglia signor Danilo Mariani ne abbiamo capito la ragione". 

Inizia così il racconto di Andrea Eremita del gruppo Archeonervia di Ventimiglia. Lui insieme a Bruno, Calatroni, Stefano Albertieri, Paolo Ciarma e Aldo Ummarino, hanno annunciato di aver localizzato la fonte del Drago, oggetto di culto pagano con tanto di altare sacrificale e menhir.

"La sorgente si trova nascosta dalla vegetazione in fondo ad una scarpata, un centinaio di metri sotto la strada militare che dal Passo della Colla nella media Val Nervia conduce a Gouta. - spiega Eremita - Una  sorgente molto ricca frequentata dalla più remota antichità dai pastori transumanti ritenuta sacra con poteri terapeutici per uomini e animali, oggetto di culto come testimonia  la presenza nelle vicinanze di altare sacrificale con una vaschetta a lato utile per deporvi il sangue e le carni degli animali sacrificati e un menhir. La toponomastica  è  la  spia di un  avvenimento che ha segnato il passato e il  toponimo  Dragorigna (Fonte del drago) è il lontano ricordo della crociata intrapresa nel periodo medioevale  dalla chiesa per incutere terrore nei  contadini e pastori sostenendo la presenza sul luogo della sorgente di un drago".

"Un modo per  impedire loro di recarsi alla fonte per  pregare per la propria salute, accendere candele, portare doni, fare voti, tentare di curare i propri malanni con l'acqua della  sorgente ritenuta terapeutica la dove, complice l'effetto placebo, preghiere e benedizioni da parte della chiesa non avevano sortito nessun effetto.     Una forma di religiosità ancestrale  pagana mai sopita tra la popolazione rurale contadina conservatrice poco permeabile al monoteismo, aspramente condannata dai concili e dai sinodi dei vescovi. - prosegue - A testimoniare la ferrea volontà  della chiesa a voler  reprimere i rigurgiti di paganesimo in Val Nervia, resta vitale il toponimo di fonte  Dargorigna di monte Testa d'Alpe e di monte Toraggio, fonte Dragunà nei pressi di Ciaixe comune di Camporosso  e  lago Dragun e della Draghessa  nel rio Merdanzo  comune di Apricale".

"Le origini della figura terrificante del drago si perde nelle nebbie del passato ed è parte integrante di un mito  che in oriente viene riconosciuto come figura benefica,  portatore  di fortuna  mentre nelle regole di ingaggio del cristianesimo medioevale sintetizza l'incarnazione del male, simbolo di morte. Nella iconografia romanica religiosa il drago veniva descritto ricoperto  di squame, cresta e  protuberanze spinose, lunga coda, quattro zampe  munite di artigli con una grande bocca  sputa      fuoco munita di grandi denti. - conclude - Nei bestiari medioevali venivano descritti come animali immondi abitatori degli alpeggi in prossimità delle fonti dove si nascondevano dentro   le grotte da dove   uscivano per aggredire  e uccidere  pastori e animali. Abitudini di vita dei draghi  che  calzavano perfettamente con il progetto della chiesa di collocarli  negli  alpeggi nei  pressi  delle sorgenti  che per ragioni logistiche  non potevano essere cristianizzate  con l'erezione di un' edicola  oppure con una cappella dedicata alla S. Vergine Maria. Un modo per inibire con la presenza del drago la frequentazione delle sorgenti oggetto di culto dove a credenze  ancestrali   venivano attribuiti poteri terapeutici e fecondanti".

C.S.