- 01 luglio 2016, 17:00

Italia-Germania oppure...

Francia-Islanda, l'altra partita epica dei quarti di finale a Euro 2016.

Questo articolo è dedicato a tutti quelli che credono nella ripetizione dei miracoli. Quelli che si sono esaltati vedendo il Leicester vincere la Premier League; che ai Mondiali e agli Europei sono soliti tifare per le squadre più strane, con i giocatori dai nomi più improbabili, con le possibilità di arrivare in finale che sono pari a una su uno sproposito di milioni. Per me la partita “vera” dei quarti di finale a Euro 2016, con tutto il rispetto per il Blasone, la Storia, la Mitologia del 4-3 e il suo corollario di scontri epici e gol d’annata, non sarà Italia-Germania. Sarà Francia-Islanda.

Gli islandesi mi stanno simpatici, così sulla fiducia, non ho un amico che vive lassù. Mi è bastato osservare la loro manifestazione di gioia sugli spalti e in campo, l’Haka neozelandese ritmata con l’urlo/sospiro onomatopeico che imita lo spruzzo bollente del geyser. Sorprendermi per il passaggio del primo turno con due pareggi e una vittoria. Sorprendermi ancora di più quando gli undici calciatori semisconosciuti e dai nomi effettivamente impronunciabili hanno fatto Brexit 2 la vendetta, cacciando l’Inghilterra dall’ultima piazza europea che gli rimaneva. Due a uno, l’Inghilterra era perfino passata in vantaggio con un rigore di Rooney, huh?! Dell’Islanda conservo ricordi bellissimi, ecco perché ho sempre tifato per questo Paese spopolato, ghiacciato, vulcanico, remoto, spazzato dai venti, con poche strade e tanti guadi, aspre montagne, rocce a non finire, laghi e cascate. All’età di otto anni l’ho percorso in lungo e in largo con i miei genitori, mia nonna e mio zio. Eravamo cinque italiani un po’ avventurosi stipati in una Lada Niva beige, fuoristrada russo piccolino ma agguerrito.

Di quel viaggio custodisco un album fotografico, il primo composto con immagini scattate da me. C’era la nonna imbacuccata nel piumino e papà col barbone. Rivedo lo zio che guadava il letto di un fiume, con i piedi infilati dentro due borse impermeabili (l’acqua era molto, molto fredda) per valutare se la Niva sarebbe stata in grado di passare o si sarebbe piantata a metà, lasciandoci appiedati e scollegati dal resto del mondo. Nessuno aveva un cellulare né tantomeno un telefono satellitare, beata libertà-incoscienza degli anni ’80. Dormivamo nei rifugi e mangiavamo scatolame. Ricordo di aver fotografato un esile arco di roccia sopra una cascata, crollato qualche anno dopo. Allora forza Islanda, l’isola del pallone. Hai già fatto un Viaggio al centro della Lunetta, su cui nemmeno Jules Verne avrebbe avuto l’ardire di scommettere.

Luca Re