- 18 maggio 2016, 17:00

Quel mostro del TTIP

Chilometro zero o chilometro diecimila?

Accidenti a lui, quel mostro del TTIP che turba il sonno degli italiani con i suoi polli al cloro, pomodori transgenici e vini contraffatti. TTIP è l’acronimo di Transatlantic trade and investment partnership, cioè il trattato commerciale di libero scambio tra Europa e Stati Uniti. Tra un round e l’altro dei negoziati spunta sempre qualche nuova paura, soprattutto se la discussione verte sul settore agroalimentare. Per i comuni mortali non avvezzi alle cime tempestose delle trattative burocratiche internazionali, il TTIP è un malloppo indigeribile e perlopiù ignoto. Chi conosce il reale contenuto di tutti i documenti, le bozze, le scartoffie partorite finora da ambo le parti?

La reazione più immediata è l’allarmismo: aiuto, arriva il TTIP. Oppure c’è l’antidoto della satira stile Maurizio Crozza, che ha dedicato l’apertura del suo ultimo show proprio al vituperato accordo commerciale in fase di definizione tra le sponde opposte dell’Atlantico. Facile ironizzare sugli acquisti a km 10.000 e sull’invasione di prodotti americani nei nostri supermercati, prodotti a basso costo e dalla dubbia qualità, se paragonati con l’eccellenza enogastronomica del Belpaese. Senza rispolverare ataviche diatribe tra liberismo e protezionismo, voglio spezzare una lancia a favore dell’intelligenza dei consumatori (che, però, deve andare di pari passo con la lungimiranza e l’onestà delle nostre aziende). Allora anziché dormire sonni agitati temendo la comparsa del mostro dietro l’armadio del made in Italy, preferisco pensare che l’eventuale paventata invasione di polli, pomodori e vini a stelle e strisce non farà altro che aumentare il nostro desiderio di km zero e cibo genuino, a costo di spendere qualche euro in più.

La vera sfida, per noi italiani (e francesi, perché anche loro sono contrarissimi al TTIP) sarà promuovere meglio le produzioni agroalimentari dei diversi territori. Per farlo non è per nulla necessario appellarsi a clausole transatlantiche o complessi negoziati. Bisognerebbe partire con una legislazione nazionale più incisiva, capace di tutelare la qualità ovunque essa sia (nel vino, nel formaggio, nella carne eccetera). Attraverso etichette più chiare sulle confezioni, e regole più severe per l’indicazione obbligatoria della provenienza di tutte le materie prime. Spesso siamo troppo autolesionisti, perché, ad esempio, spacciamo per italiane delle mozzarelle che tanto italiane non sono, sfruttando quelle zone d’ombra consentite dalle norme attuali sull’etichettatura.

Luca Re