- 04 aprile 2016, 17:00

Tutta la verità, o quasi, sul biodigestore

L'impianto di Colli, la raccolta differenziata e due domande per la Provincia.

Qualcuno lo scambia per un inceneritore, qualcun altro pensa che la sua costruzione sia in contrasto con la strategia “rifiuti zero”: il progetto del biodigestore continua a far discutere. Leggi qui l'articolo precedente: Biodigestore, non inceneritore. Commentando gli ottimi risultati del nuovo servizio di raccolta domiciliare avviato a Bordighera, Francesca Antonelli di Sanremo Attiva ha dichiarato che «alte percentuali di differenziata non sono compatibili con il biodigestore previsto in località Colli». In realtà, un impianto come quello progettato sulle alture di Taggia si caratterizza per la sua flessibilità operativa, grazie ai numerosi tipi di separatori (ottici, magnetici eccetera) che servono a trattare il rifiuto urbano residuo, selezionando i materiali riciclabili che erano sfuggiti alla raccolta differenziata.

Queste attrezzature sono le stesse impiegate nelle piattaforme del Conai (Consorzio nazionale degli imballaggi) per dividere, ad esempio, la carta dal cartone, i metalli ferrosi da quelli non ferrosi, le diverse materie plastiche tra loro eccetera. Il concetto è che il biodigestore potrà funzionare progressivamente con meno rifiuto urbano residuo e più materiali provenienti direttamente dalla raccolta differenziata. La stessa campagna nazionale per la legge rifiuti zero propone di realizzare questi impianti di trattamento. Il problema, a mio avviso, è che il biodigestore è circondato da un alone di fumosità. Due domande per la Provincia di Imperia: perché i documenti definitivi del progetto, datati marzo 2015, sono protetti da password e riservati agli amministratori locali? Perché nelle note che precedono il link del file protetto c’è scritto che «l’impianto, così come concepito, non è finalizzato né alla produzione di biometano né alla cogenerazione sul posto»? Qui siamo alla seconda funzione del biodigestore, che è trattare l’umido, la parte organica dei rifiuti. Lo farà attraverso la digestione anaerobica: speciali batteri decompongono la biomassa in ambienti privi di ossigeno (silos sigillati). Il risultato di questo processo è il biogas.

Il sindaco di Imperia, Carlo Capacci, di recente ha spiegato che il biodigestore non brucerà il biogas per generare energia elettrica, come previsto nella versione più vecchia della documentazione tecnica. Difatti, ha evidenziato Capacci, un anno fa l’amministrazione provinciale aveva richiesto ai progettisti di compiere un passo in più: cioè di raffinare il biogas in biometano da immettere in rete o da utilizzare come combustibile nei trasporti, al pari del metano di origine fossile.

La mancanza di trasparenza da parte della Provincia è un errore che sta determinando molte incomprensioni. Al contrario, la Provincia dovrebbe spiegare le sue scelte ai cittadini, aprire le porte delle sue riunioni anziché tenerle chiuse, come avvenuto anche nei giorni scorsi per i risultati dell’indagine epidemiologica sulla discarica di Collette Ozotto. Tutta questa segretezza su argomenti di notevole interesse pubblico, invece, non fa altro che alimentare dubbi e critiche. Per sconfiggere la sindrome Nimby che colpisce molti cittadini (“not in my backyard”, cioè “non nel mio cortile”), inducendoli a opporsi a un progetto fondato su idee valide (meno rifiuti in discarica, più riciclo, capacità di trattare l’organico), sarebbe opportuno condividere i propri file. E così far capire a tutti ciò di cui stiamo parlando esattamente.

Luca Re