- 27 gennaio 2016, 17:00

L'olio di Tunisi

I rischi per l'extravergine italiano nel mercato europeo.

Bello parlare di km zero, eccellenze gastronomiche e tutela dei prodotti di qualità. Salvo poi accorgersi che i tecnocrati europei preferiscono promuovere il fatto Altrove piuttosto che il made in Italy. La commissione per il Commercio internazionale del Parlamento Ue, infatti, ha dato via libera all’importazione aggiuntiva d’olio d’oliva tunisino. Tutto è partito da una proposta legislativa della Commissione europea del 17 settembre 2015, con cui Bruxelles intendeva incrementare l’export olivicolo del paese nordafricano. Di una quantità non trascurabile: 35.000 tonnellate d’olio ogni anno per il 2016 e 2017 con esenzione completa dai dazi (gli accordi commerciali con la Tunisia, siglati nel 1995, prevedono una quota annuale “duty free” pari a 56.700 tonnellate). La motivazione ufficiale era «proteggere l’economia tunisina dopo i recenti attentati terroristici», cioè le stragi avvenute al museo nazionale del Bardo e nel complesso turistico di Sousse.

Acceso il semaforo verde per 70.000 tonnellate in più in un biennio (manca solo il voto finale del Parlamento) si accende anche un preoccupante semaforo giallo per il futuro dell’olio extravergine italiano, compreso quello ligure. L’olio di Tunisi è solo una parte di un problema ben più esteso di qualità complessiva del nostro prezioso liquido, di lotta alla contraffazione e veridicità delle etichette. Il 2014 è ormai riconosciuto come l’anno orribile per l’olivicoltura italiana, aggredita e decimata dall’invasione della Xylella fastidiosa. La produzione era scesa ai minimi storici, circa 300.000 tonnellate contro una media storica di 500.000 a causa della pestilenziale mosca olearia. Nel 2015 i numeri hanno ripreso a salire, grazie anche alle crescenti importazioni da Spagna, Grecia e Tunisia; quest’ultima ha registrato un boom di vendite in Europa e nello Stivale in particolare. L’Italia consuma moltissimo olio, ne produce tantissimo (solo la Spagna ci batte) e, allo stesso tempo, ne fa arrivare quantità ingenti dall’estero, tanto da essere il primo importatore mondiale. Così è facile confondere le acque: vendere un prodotto importato di bassa qualità, spacciandolo per extravergine.

L’olio made in Italy taroccato è una miscela variabile con provenienza da diversi paesi, o un mix di extravergine (in percentuale molto bassa) con olio rettificato attraverso un processo di raffinazione, volto a eliminare vari difetti, come l’eccessiva acidità e l’odore sgradevole. Risultato? Prezzi ridotti e industrie che dietro il paravento di etichette storiche commercializzano bottiglie che poco o nulla hanno a che vedere con gli uliveti nostrani. Senza voler passare per campanilisti contrari al libero mercato dei prodotti agricoli, è chiaro che favorire l’export a basso costo dalla Tunisia rischia di penalizzare ancora di più le aziende italiane di qualità. Sarebbe bello che i tecnocrati europei, tanto preoccupati per le sorti dell’economia tunisina, si battessero con la stessa solerzia per proteggere il vero extravergine. Non a caso, Coldiretti chiede la completa attuazione delle norme previste dalla cosiddetta legge “salva-olio” del 2013, istituendo maggiori controlli per smascherare le contraffazioni.

Luca Re