Al Direttore - 17 ottobre 2015, 21:52

La regina Vittoria e le annessioni di Nizza (e Savoia). Curiosità storiche raccontate da Pierluigi Casalino

"...Nizza si sollevò, acclamando Garibaldi, nel nome dell'unità nazionale italiana, ma ormai la storia aveva compiuto un passo irreversibile..."

"L'atmosfera di conciliante avvicinamento tra Napoleone III e l'ambasciatore britannico a Parigi, Lord Cowley (e confermata da fonti autorevoli del governo di Londra), subì una battuta d'arresto improvviso ed una netta inversione di tendenza non appena cominciò a prendere corpo nel Regno Unito un sospetto, sino allora sottovalutato e considerato solo a livello di voce incontrollata: cioè che l'intervento francese a sostegno della causa italiana fosse accompagnato dalla pretesa di annessioni territoriali. In realtà la voce circolava insistentemente da tempo e non mancavano i motivi che prendesse progressivamente consistenza.

Napoleone III aveva rappresentato con chiarezza questa sua intenzione al Desambrois, uomo intelligente e di cultura occitana, era da parte contrario in linea di principio alla cessione di Nizza e Savoia alla Francia, ma, rispettoso del suo re, aveva accettato di portare avanti il negoziato con l'imperatore dei francesi su una questione, a dire il vero, assai complessa e spinosa per le conseguenze che cominciava ad avere sul piano diplomatico in tutto il Vecchio Continente. Lo stesso Desambrois consigliava il Dabormida, ambasciatore sabaudo a Parigi, di spingere (come di fatto il diplomatico fece) Vittorio Emanuele II a fare il possibile per evitare le due cessioni, proponendo semmai una neutralizzazione di Nizza e Savoia. A tale passo seguì una nota di Napoleone III che scrisse al sovrano piemontese per annunciargli il suo nuovo piano: accettare in primo luogo il principio di non intervento, e quindi di provocare una votazione generale nelle province dell'Italia centrale sul loro futuro destino; rinunciare francamente a nuovi ampliamenti territoriali negli Stati vicini; lasciare, infine, a Nizza e Savoia la stessa libertà della Toscana, uniformandosi ai voti liberamente espressi dalla popolazione.

L'ambasciatore prussiano a Parigi, appena appresa la notizia, denunciò immediatamente il tentativo francese di avanzamento delle (allora) attuali frontiere. Il diplomatico prussiano si adoperò energicamente con i colleghi per coinvolgerli in tale mossa, consigliando loro di invitare i rispettivi governi analogamente a quanto egli aveva fatto subito con il proprio (governo) 'de se montrer contraire à l'annexionde la Savoie et (de Nice) comme étant un commencement dangereux d'extension des frontières françaises'. D'altra parte l'atteggiamento di Cavour, tornato da poco al governo, non era particolarmente chiaro o definito: da un lato rimproverava al Desambrois di difendere con eccessivo zelo le due province; dall'altro sembrava piuttosto confidare nell'assenza di uno specifico impegno del governo piemontese, come pure dei sentimenti filo-italiani, oltre che della devozione a casa Savoia, che avrebbero comunque essere espressi in sede di plebiscito. Cavour si adoperava infatti ad utilizzare lo stretto margine che ancora rimaneva nel tentativo di 'salvare' le province, senza pregiudicare l'irrinunciabile alleanza con la Francia.

I piani delle parti direttamente in causa vennero, peraltro, messi in discussione dall'estendersi delle reazioni internazionali alla ventilata annessione francese di Nizza e Savoia (un venir meno ai principi sanciti nel Congresso di Vienna, tra l'altro). Assai dure le reazioni inglesi. Primariamente c'era da registrare l'assoluta contrarietà della regina Vittoria, il cui atteggiamento contribuì ulteriormente 'à precipiter des évènements en Italie'. E l'allargarsi dell'interessamento europeo veniva, anzi, a modificare i termini del problema italiano. Le posizioni, se pur articolate, delle potenze del Vecchio Continente, dalla eurasiatica Russia alla Prussia, all'Inghilterra e alla stessa Confederazione elvetica, che avanzava la propria aperta pretesa sulla Savoia, non deponevano bene per la soluzione maturata nel 1859 tra Parigi e Roma.

L'Austria, dal canto suo, si mostrava più cauta per non creare le condizioni di un nuovo conflitto con la Francia, alleata del Piemonte. Ma la protezione francese si delineava sempre più finalizzata alla attesa cessione di Nizza e Savoia. Sta di fatto che la questione di Nizza e Savoia stava diventando cruciale, assumendo via via un rilievo superiore a quello della Toscana e della Romagna. Il clima politico nel Regno Unito si stava surriscaldando ed era particolarmente tesa la posizione della regina che vedeva nelle pretese territoriali francesi un attentato alla sicurezza collettiva in Europa. Evento che, intrecciandosi, tra le altre cose, con la questione romana costituiva una vera e propria mina vagante. Londra, in proposito, accusava Napoleone III di nutrire 'des vues usurpatrices sur le Rhin'. Ma anche il Piemonte veniva, a sua volta, accusato di venir meno ai suoi doveri verso i concittadini nizzardi e savoiardi, attraverso 'un ingegno mercato'.

La regina Vittoria, in prima persona, sperava che la Francia ritirasse 'l'odiosa pretesa di espoliazione', mentre l'opinione pubblica britannica pressoché coralmente cominciava ad agitarsi seriamente di fronte ad un non chiaro ritocco delle frontiere. La sovrana non nascondeva di essere irritata anche con lo stesso governo inglese per non aver sufficientemente tenuto conto del suo punto di vista assolutamente contrario alla politica franco-piemontese. Gli inglesi, a questo punto, cercarono di far luce sull'intera vicenda, giudicata misteriosa e piuttosto poco convincente. Napoleone III ricordò, però, a Lord Cowley che 'the question was upon the tapis before the war', precisando che la cosa era stata decisa concordemente tra il governo sardo e quello francese. La regina Vittoria, si diceva, era 'furibonda' e cercava di fermare ad ogni costo il 'mercanteggio'.

Occorre far presente che anche questa posizione della regina veniva sfumata dal fatto che, in fondo, l'Inghilterra avrebbe voluto l'annessione al Piemonte di tutta l'Italia centrale e si sarebbe adattata alla lunga ad accettare la cessione della sola Savoia (considerata in ogni caso una grave macchia per la monarchia sabauda), ma non assolutamente della Contea di Nizza. Circostanza incomprensibile persino per gli inglesi che soggiornavano beatamente tra Sanremo e Nizza e che temevano riflessi anche su questa loro condizione felice. La regina si stava impegnando per bloccare l'operazione franco-piemontese, anche per ridimensionare il ruolo della Francia, cercando di coinvolgere su questo piano anche le altre potenze europee. Anche nella vicina Liguria di Ponente qualcuno faceva notare a Cavour che, andando avanti di questo passo, Parigi avrebbe richiesto anche Ventimiglia, Sanremo e Savona. Un eco di questi avvenimenti si ebbe anche, come sopra accennato, sul versante altrettanto delicato della questione romana (e del potere temporale del Papa).

Si ebbe chiara, a tale riguardo, l'impressione che le manovre francesi erano rivolte unicamente ed essenzialmente a mettere le mani su Nizza e la Savoia. E, del resto, anche Napoleone III era tallonato dalla sua opinione pubblica, che gli rimproverava di essere sceso in guerra a fianco del Piemonte per motivi oscuri e di aver subito perdite pesanti sul campo di battaglia. La contropartita che aveva da offrire ai suoi critici era ormai solo quella dell'annessione di Nizza e di Savoia. Fu in questo contesto che Londra, rassegnata di lì a poco a vedere passare la Savoia sotto la Francia, compiva l'estremo tentativo per impedire almeno il trasferimento di Nizza all'amministrazione francese. La regina sconfessò, come oltremodo arrendevole, la linea di Lord Cowley. Le polemiche si protrassero a lungo e andarono ad unirsi con le insofferenze di Giuseppe Garibaldi e di molti altri illustri nizzardi e savoiardi, ma anche liguri, nei confronti di un provvedimento che suscitò perplessità non irrilevanti tra le fila del movimento patriotico italiano.

Le genti nizzarde e savoiarde furono liberate a malincuore dall'obbedienza al re sabaudo e loro malgrado esse si adeguarono, nonostante che i plebisciti fossero stati pilotati nel nome della ragion di stato. L'Inghilterra non abbassò la guardia nei confronti di Napoleone III, che stava avanzando già mire personali sul Regno delle Due Sicilie, quale alternativa possibile a Nizza e Savoia, se la situazione fosse andata di traverso. La Prussia aspetterà, dal canto suo, il momento propizio per presentare il conto all'imperatore francese. La guerra franco-prussiana qualche anno più tardi segnò la fine di Napoleone III. Nizza si sollevò, acclamando Garibaldi, nel nome dell'unità nazionale italiana, ma ormai la storia aveva compiuto un passo irreversibile.

Pierluigi Casalino".

Redazione