- 31 agosto 2015, 17:00

Il profugo verdeggiante

L'entroterra, specchio della non-politica europea sull'immigrazione.

Venticinque profughi saranno ospitati a Verdeggia, in un vecchio albergo. Frazione del comune di Triora, 1.100 metri d’altitudine in valle Argentina, bastano le dita delle mani per contare tutti i residenti; nemmeno l’ombra di un negozio, bar o servizio pubblico. D’inverno fa un certo freddo, nevica. Il profugo-eremita rappresenta l’assurda evoluzione della specie più bistrattata dalle cancellerie europee, cioè il fuggiasco che ambisce allo status di rifugiato. Possibili attività integrative, aspettando l’esito delle richieste d’asilo (6-8 mesi ben che vada per ottenere l’eventuale permesso di soggiorno): contemplazione del verde. Corsi di lingua italiana o dialetto brigasco. Caccia al cinghiale. Bighellonare nei paraggi; i più ardimentosi potranno spingersi sulla vetta del Saccarello, il monte più alto della Liguria.

Quindi uno riesce a sopravvivere a guerre indicibili, annegamenti, stive o cassoni asfissianti, per poi ritrovarsi, letteralmente, in culo ai lupi. È il cortocircuito di una politica, nazionale ed europea, che sull’immigrazione è allo sbando. Il sindaco di Triora, Angelo Lanteri, ha detto che la decisione è inevitabile, presa dalla prefettura senza avvisare il comune. Come successo a Bajardo: lì poi era finita con una grigliata dell’amicizia, chissà se pure Verdeggia offrirà una cena fraterna ai nuovi ospiti. Però c’è da essere ottimisti, se perfino il cuore granitico del cancelliere tedesco, Angela Merkel, in questi giorni sta vacillando, a furia di essere scosso nel vedere quella massa umana che via terra o via mare sta cercando di attraversare l’Europa. Nel vedere gli ungheresi erigere muri metallici (perbacco, l’ultimo muro non doveva essere quello caduto nel 1989? È stata proprio la Germania a riunificare, pur tra mille difficoltà, le sue due anime divise dalla cortina di ferro). Nel vedere tutti quei profughi morti. Angela Merkel, la trasformazione. Dall’empatia-zero alla solidarietà. Non possiamo accogliere tutti, disse alla bambina palestinese, che giustamente scoppiò a piangere. L’Europa è ricca, intervenga, ha dichiarato alcune settimane dopo al summit di Vienna.

Siamo 500 milioni di persone, pertanto è lecito pensare che con un piccolo sforzo comune potremo risolvere il problema. L’agenda è fittissima: si va dalla necessità di rivedere il sistema di Dublino (il primo paese d’arrivo del profugo deve trattare la sua domanda d’asilo) alla definizione di regole unitarie sulle richieste di protezione, poiché finora ogni Stato membro ha fatto di testa sua. Passando per il rafforzamento dei confini esterni e la lotta agli scafisti, ben sapendo che prevenire è meglio che dover soccorrere. La sfida è passare dalla gestione dell’emergenza a una strategia condivisa su come assorbire e integrare i migranti, quelli che hanno diritto a restare. Intanto il profugo-eremita mangerà, mediterà e spererà di diventare, un giorno, un cittadino d’Europa nei nostri borghi dell’entroterra, così bisognosi di essere ripopolati e mantenuti in buono stato. Magari non a Verdeggia, che è un po’ fuori mano, un po’ troppo.

Luca Re