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| 02 ottobre 2015, 17:00

L'insostenibile impresa del bus a idrogeno

Perché la mobilità del futuro non ha un presente.

L'insostenibile impresa del bus a idrogeno

Nei giorni scorsi la Giunta regionale, trincerandosi dietro il paravento del male minore, ha deciso di salvare il programma per i mezzi a idrogeno della Riviera Trasporti. Tecnicamente si tratta di una “rimodulazione di finanziamenti regionali destinati all’acquisto di nuovi bus”, proposta dall’assessore ai Trasporti, Gianni Berrino. Due milioni di euro, anziché essere spesi per rimpiazzare quattordici vecchie corriere diesel, andranno nel pozzo senza fondo degli autobus del futuro (ma finora sempre parcheggiati nel piazzale di via Nazionale). La Regione ha stabilito che, per evitare il possibile fallimento della Riviera Trasporti, l’azione più furba sia iniettare altri soldi nello stesso progetto che è tra le principali cause del dissesto finanziario.

Rewind: nel 2012 l’azienda imperiese, allora guidata da Renzo Amabile, acquistò dalla belga Van Hool cinque bus a idrogeno. Valore totale oltre sei milioni di euro. Era l’epoca dell’ottimismo futurista. La Riviera Trasporti agganciò il bando europeo HighVLOCity per la diffusione sperimentale della mobilità pubblica a idrogeno. Poi Bruxelles elargì i suoi finanziamenti, con il risultato però che da noi è tutto fermo, mentre nelle altre due realtà vincitrici (le Fiandre con Anversa e la Scozia con Aberdeen) i nuovi pullman circolano già. Senza quei due milioni aggiuntivi, il progetto rivierasco sarebbe morto del tutto e la Riviera Trasporti avrebbe dovuto restituire all’Europa il denaro già percepito. La mossa della Giunta quindi ha certificato che la società ha fatto il passo molto più lungo della gamba. Ha comprato i mezzi a idrogeno, senza essersi per prima cosa assicurata la produzione e fornitura del mitico combustibile. Ma soprattutto, e forse è anche peggio, senza avere le basi abbastanza solide da affrontare una simile rivoluzione. Ci sono fin troppe corriere vecchie, rumorose e inquinanti; pensiline che cadono a pezzi, orari appiccicati con lo scotch ai pali, una rete filoviaria in stato di abbandono. Davvero l’azienda supponeva di mettere tutta questa polvere sotto il tappeto dell’idrogeno?

Stiamo discutendo di una tecnologia in fase sperimentale e circondata da varie incertezze. Non solo sui costi, che restano alti, ma anche sul rendimento complessivo. L’idrogeno è un vettore energetico: per produrlo, attraverso il metodo dell’elettrolisi dell’acqua, serve una fonte di elettricità. Se quest’ultima è totalmente rinnovabile, ad esempio solare o eolica, allora il procedimento è davvero a emissioni zero; ma se l’energia elettrica è di origine fossile, allora il discorso cambia. Diversi organismi scientifici stanno elaborando delle soluzioni per ottenere idrogeno a costi competitivi e con una maggiore efficienza. La partita insomma è apertissima. Ben vengano i test di laboratorio e i bandi europei per le attività di ricerca e sviluppo in questo settore. Però, comunque vada, la Riviera Trasporti ha già perso la sua scommessa. C’erano altri modi per diventare più amici dell’ambiente e dei cittadini pendolari.

Luca Re

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