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| 19 ottobre 2015, 17:00

Il coworking ridà smalto ai negozi di vicinato

Torino gioca la carta delle attività commerciali in condivisione. Può essere questa la soluzione con cui rispondere alla concorrenza di outlet e supermercati?

Il coworking ridà smalto ai negozi di vicinato

Supermercati, centri commerciali, mega store, super store, ipermercati, grandi magazzini: la concorrenza ai negozi tradizionali si può chiamare in moltissimi modi. Prezzi bassi, ampia offerta di prodotti e addio alle botteghe del centro cittadino. Il tema è tornato d’attualità in provincia almeno per due motivi. Da una parte, la costruzione dell’outlet del lusso in Valle Armea, dall’altra le crescenti difficoltà di molti commercianti (Via Cascione a Imperia rappresenta molto bene questa situazione). Per scovare qualche rimedio scacciacrisi bisogna mettersi nell’alveo della “sharing economy”, cioè l’economia della condivisione. Così a Torino il Comune ha pensato di applicare il “coworking” ai negozi di vicinato.

Finora per coworking s’intendeva essenzialmente la condivisione di un ufficio: due o più liberi professionisti lavorano nello stesso spazio, dividendo le spese per l’affitto, le utenze e magari per l’utilizzo di determinate apparecchiature (stampanti, fax, collegamento a internet, sala videoconferenze). L’assessore al Commercio di Torino, Domenico Mangone, già lo scorso anno aveva ipotizzato di sfruttare una formula simile per rivitalizzare lo spirito imprenditoriale, con un occhio di riguardo ai giovani e ai settori più creativi, come la moda, il design e l’artigianato. Adesso la città è pronta a partire con la piccola rivoluzione, dopo il via libera concesso dalla Regione; tutti i dettagli si trovano in una delibera che sta per essere portata in Giunta da Mangone. In sintesi, i commercianti potranno aprire attività diverse dietro le stesse vetrine. Stop alla licenza unica. Quindi potremo acquistare un mazzo di fiori e un cabaret di paste sotto la medesima insegna, andare dal parrucchiere con annesso negozio di abbigliamento, entrare in una panetteria-edicola, mischiare scarpe e libri, biciclette e cappuccini e via così senza più confini predefiniti. L’unico limite sarà la grandezza: 250 metri quadrati al massimo, per evitare la creazione di surrogati di centri commerciali. A Torino sono circa 18.000 le strutture di queste dimensioni.

I vantaggi? Soprattutto economici, perché più titolari, riuniti in uno stesso negozio, suddivideranno le spese per l’avviamento e la gestione delle rispettive attività, e pagheranno anche meno tasse, in proporzione ai metri quadrati occupati. Inoltre, potranno incuriosire e attirare nuovi clienti. L’obiettivo è vedere meno locali sfitti e serrande abbassate, puntando su quel concetto di “centro commerciale naturale” che è l’antitesi del grande centro in periferia. Prezzi giusti, più che bassi, qualità, accoglienza e attenzione alle richieste specifiche dei clienti (in una parola: personalizzare l’offerta). Sono queste le armi che il commercio al dettaglio può giocare, per cercare di riappropriarsi del suo vicinato.

Luca Re

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