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In Breve

| 03 agosto 2015, 17:00

La solitudine dei numeri folli

Dalla grande guerra al grande spreco, riflessioni sulle disumane incongruenze di ieri e di oggi.

Fortunato Depero, Guerrafesta, 1925

Fortunato Depero, Guerrafesta, 1925

ROVERETO - Durante la prima guerra mondiale, gli eserciti fecero costruire 40.000 chilometri di trincee, una distanza pari alla circonferenza della Terra. Servivano 450 uomini per scavare circa 250 metri, lavorando per sei ore buone. Questi numeri li ho letti al museo d’arte moderna e contemporanea di Rovereto (Mart), tra i numerosi dati che introducono la mostra sui conflitti armati dal XX secolo fino a oggi. Il titolo riprende una celebre poesia di Bertolt Brecht: “La guerra che verrà non è la prima”. È un esperimento molto interessante, perché l’esposizione riesce a mescolare, senza creare confusione, tanti ingredienti diversi. Ci sono quadri, disegni, fotografie, manifesti, taccuini, installazioni, video, oggetti bellici ritrovati sulle montagne. L’idea è affrontare il tema sempre attualissimo della guerra con il cipiglio provocante degli artisti, le interpretazioni degli storici e le diavolerie della politica. È uno shaker culturale che lascia un certo disagio interiore, soprattutto pensando che i numeri folli si ripetono, anche quando a combattere non sono più i soldati.

Prendiamo ad esempio lo spreco alimentare; la fonte, in questo caso, è il padiglione zero dell’Onu all’Expo di Milano. Ogni anno il 30% del cibo prodotto in tutto il mondo si deteriora o finisce nella spazzatura. Stiamo parlando di 1,3 miliardi di tonnellate, che sarebbero più che sufficienti a sfamare tutte le persone cronicamente denutrite (800 milioni circa). Allo stesso tempo, però, più di 500 milioni di adulti sono obesi. Questa è la tipica follia di un’economia planetaria super consumista fondata sulle diseguaglianze sociali, ma ci sono altre incongruenze evidenti. Un secondo esempio è l’accesso universale all’energia, che tanto universale ancora non è, poiché secondo le stime (Onu e Banca mondiale) oltre un miliardo di persone vive senza elettricità, mentre circa tre miliardi di esseri umani sono costretti a bruciare combustibili arcaici e inquinanti, come legna e cherosene, per cucinare o riscaldare le proprie dimore. Poi ci sono le sovvenzioni per l’utilizzo di combustibili fossili. Oltre 500 miliardi di dollari l’anno sotto forma di sussidi diretti per gas, petrolio e carbone nei Paesi in via di sviluppo, sostiene l’Agenzia internazionale dell’energia.

Così le trincee del XXI secolo sono fatte soprattutto di storture economiche. Appartengono alle guerre globali sui campi della finanza, dell’energia, dell’alimentazione e del clima. Le combattono multinazionali, colossi petroliferi, grandi banche e fondi d’investimento. I numeri di questi conflitti crescono a dismisura, si autoalimentano con bolle speculative. Sono difficili da estirpare o ridurre o dividere. Delle reazioni tuttavia ci sono. La Francia ha approvato una legge contro lo spreco alimentare, con l’obbligo per i supermercati di donare il cibo invenduto ma non ancora scaduto. Il presidente americano, Barack Obama, proprio in questi giorni ha ripreso a battere sul tasto dell’economia verde, prevedendo tagli più severi alle emissioni nocive di gas-serra. Il suo pensiero è che non possiamo lasciare in eredità ai nostri figli e nipoti un Pianeta con danni irreparabili. L’unico modo è provare a contrastare la disumana solitudine dei numeri folli.

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Il clima delle banane

Le regole del turismo perfetto

La sesta fatica di Messner

Luca Re

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