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In Breve

| 02 agosto 2015, 07:14

In & Out: Enrico Muratore, migrante controtendenza, ci racconta come si vive da ventimigliese in Africa

I senegalesi sono gente che utilizza la parola piuttosto che l'atto per risolvere le proprie controversie e in questo sono maestri. Hanno un talento per il negoziato ed hanno una sana propensione alla pace ed al dialogo.

In & Out: Enrico Muratore, migrante controtendenza, ci racconta come si vive da ventimigliese in Africa

Il mal d'Africa è un sentimento che in pochi possono dire davvero di poter comprendere. Non si parla solo di tramonti nella Savana, o di panorami mozzafiato. L'Africa è un sentimento che difficilmente va via e quando lo fa, lascia sempre un segno profondo. Chi non è mai stato nel “Continente nero”, potrà con questo articolo assaporarne un lato nuovo, raccontato da chi, per lavoro, ha deciso di farne la sua vita. "Il giro del mondo africano in un'intervista", ecco come possiamo definire l'In & Out di oggi. Da Grimaldi di Ventimiglia all'Angola, dal Kenya, alla Nigeria alla Costa d'Avorio e infine (almeno per ora) in Senegal. Questa è L'Africa secondo Enrico Muratore, in servizio presso il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, l'Unicef e Oxfam. Un migrante controtendenza, che ci racconta come si sta, da ventimigliese, in Africa.

Quale percorso hai affrontato per arrivare all’ONU e di cosa ti occupi? Sono nato a Sanremo ed ho sempre vissuto in seguito a Grimaldi. Dopo avere concluso il liceo classico a Ventimiglia negli anni 80, ho fatto studi universitari in Francia, a Nizza e a Strasburgo dove mi sono specializzato in protezione dei diritti umani nel 1996. Dopo aver svolto il servizio militare in Italia, mi è stato offerto un lavoro come Human Rights Officer per la Missione ONU in Angola. In Angola c'era la guerra e non è stata un'esperienza facile, ma allo stesso tempo ho avuto modo di apprezzare a fondo un Paese che davvero è vasto, meraviglioso, pieno di storia e di risorse e di futuro, grazie al talento dei suoi abitanti. In Angola è cominciata la mia carriera professionale nel settore dei diritti umani, della good governance e dello sviluppo. Ho lavorato per 5 anni per il peace-keeping in quel Paese, ed inseguito ho assunto altri incarichi prima in Ruanda (come capo missione di Avocats Sans Frontières), poi a Ginevra all'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani, poi di nuovo sul field in Angola, in Kenya; dal 2009 sono in Senegal, dove ho servito il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, l'UNICEF e, dal 2013, l'ONG Oxfam, lavorando su tutta l'Africa occidentale, dalla Nigeria alla Guinea Bissau, dalla Costa d'Avorio al Niger, alla Gambia. Racconto alcune delle mie esperienze internazionali sul blog che tengo, molto irregolarmente, sul Fatto Quotidiano-Enrico Muratore.

Da Ventimigliese in Senegal, come vedi la questione dei migranti a Ventimiglia? La questione dei migranti a Ventimiglia era già critica l'estate scorsa, durante la quale ho passato sei settimane a Grimaldi ed ho potuto vedere le decine e decine di persone che quotidianamente marciavano sotto il sole verso la Francia. Quest'anno la situazione è diventata ancora più drammatica ed ha persino attratto l'attenzione internazionale; ora l'interesse si è già spostato altrove, ma è chiaro che il fenomeno sia destinato a continuare e ad amplificarsi, a Ventimiglia come dappertutto, poiché si moltiplicano i conflitti nel mondo, ed anche in Paesi dove non si combatte ancora, vari fattori, dalla miseria alla mancanza di futuro, spingono molti giovani a tentare l'avventura in Europa, anche se l'Europa di certo non è l'Eldorado sognato dai migranti, e non è neppure più quell'ideale di pace, prosperità e giustizia che noi giovani Europei abbiamo sognato che potesse essere. Sia in Italia che nel resto dell'UE, l'impressione è quella d'incapacità, d'impreparazione, di mancanza di riflessione e di scarso coraggio delle classi politiche, ma anche della società europea. Mi rallegro però nell'apprendere da varie fonti che le popolazioni di Ventimiglia e del Ponente Ligure hanno, in maggioranza, dato prova di umanità e solidarietà cercando di assistere i migranti e le loro famiglie. Conto di fare la mia parte al mio ritorno a Ventimiglia, tra qualche giorno.

C’è qualcosa in Senegal che possa essere, anche lontanamente paragonabile alla provincia di Imperia? Al di là del fatto che il Senegal rimane un Paese interessante anche culturalmente, e che merita di essere visitato, con i dovuti accorgimenti, se non fosse che perché è un Paese pacifico dove gli stranieri sono nell'insieme rispettati, il paesaggio Senegalese, soprattutto Dakar e dintorni, è molto secco e sabbioso, ed il territorio è tenuto molto male. Ci sono seri problemi ambientali soprattutto legati alla diffusione dei sacchetti di plastica e alla mancanza di civismo assai diffusa. La città di Dakar è vittima di una gestione a dir poco approssimativa, del peso demografico legato all'esodo rurale che porta all sviluppo delle bidonville, e di attività immobiliari di cementificazione massiccia che sfregiano ulteriormente un quadro urbano e sociale che ha conosciuto giorni migliori. La gestione dei residui solidi come liquidi resta un problema serio ed il clima sociale depresso vede la diffusione a macchia d'olio della mendicità accompagnata da tristissimi fenomeni di sfruttamento dell'onnipresente mendicità minorile. La provincia d'Imperia ha i suoi problemi ma certamente non siamo ancora arrivati a questi punti. In termini di ambiente e territorio, e di eredità storica, viste le verdi colline ed il mare, ed i borghi in pietra della nostra provincia, direi che si potrebbe stabilire un paragone con l'Isola di Gorée, da cui anticamente i francesi deportavano gli schiavi verso le Americhe, e che oggi figura come facente parte del patrimonio universale dell'umanità dell'UNESCO. Gorée è una verde collina in mezzo al mare, a tre chilometri da Dakar; ad essa si accede con una bella gita in traghetto. Non vi sono macchine a Gorée e l'atmosfera è al tempo stesso suggestiva e rilassata, tra i vecchi palazzi coloniali, il borgo, la Chiesa già visitata da papa Woitila e da Obama e la moschea, e la vita artistica, sociale e culturale locale, piuttosto animata ed interessante. Consiglio a tutti di visitare Gorée nel tardo pomeriggio, quando la massa dei turisti se ne va, e magari passare una notte lì per vivere l'atmosfera di questo antico villaggio africano dove tutti vanno a piedi ed un asino assicura la raccolta dei rifiuti. A parte Gorée, il Senegal diventa sempre meno desertico e più verde man mano che si va a sud, fino alla scenografica regione della Casamance (che però è afflitta da un cosiddetto "conflitto a bassa intensità"); a nord della Casamance c'è la striscia di terra dell'angolofona Gambia, che è un altro piccolo paradiso, soprattutto per i turisti britannici e nordici.

Cosa ami e cosa odi del Senegal? Non posso dire di odiare qualcosa del Senegal, ci sono grandi problemi e certo sarebbe bello che le coscienze si evolvessero e la società trovasse il coraggio di riprendere in mano la gestione dell'ambiente e soprattutto la salvaguardia e la protezione dell'infanzia. Purtroppo la maggioranza della popolazione vive in situazione di grande povertà, oppressa dalla mancanza di reddito e dall'insufficienza dei servizi (salute, educazione ecc.) in contesti di diffuso degrado ambientale. La povertà nelle campagne è ancora più grande e in tutto il Sahel si profilano problemi alimentari per via della scarsità delle piogge negli ultimi due anni. Per fortuna la gente mantiene la calma e va avanti come può, ed il Paese conserva la sua pace. I senegalesi sono gente che utilizza la parola piuttosto che l'atto per risolvere le proprie controversie e in questo sono maestri. Hanno un talento per il negoziato ed hanno una sana propensione alla pace ed al dialogo. Qui ci sono poche armi in giro, la polizia è corretta ed i militari sono i migliori della regione dell'Africa Occidentale ed hanno servito moltissimo le missioni di pace dell'ONU portando il loro talento. Tra essi, il Capitano Mbaye Diagne, che in Ruanda nel 1994 salvò mille persone prima di perdere la propria vita, come racconto qui “Te la do io l'Onu - Una medaglia per il Capitano Mbaye Diagne - Il Fatto Quotidiano”. Qui a Dakar ho promosso, insieme alla sua famiglia ed ai militari e funzionari ONU senegalesi e non, la creazione di un'Associazione dedicata a promuovere la memoria del Capitano e del suo coraggio ed amore per l'umanità Association du Capitaine Mbaye Diagne - Nekkinu Jàmm. Mi farebbe piacere se i lettori dessero un'occhiata (QUI) alla pagina dell'Associazione per capire chi era il Capitano. Magari verrò a parlarne, qualche giorno, all'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario di Sanremo, dove già ho tenuto un paio di corsi nel 2006.

Cosa ami e cosa odi di Ventimiglia? Non dico di non conoscere Ventimiglia, ma io sono di Grimaldi e dal 1990 vengo in Italia solo in vacanza. Grimaldi è la mia base, ma mi piace andare a Ventimiglia per un caffé o una cena con i vecchi amici, alcuni di essi sono ben radicati, dei veri ventimigliesi, ma altri sono spantegai come me, che convergono qui solo per le vacanze. In famiglia, ci piace fare giri nell'entroterra, a Isolabona a mangiare la pizza (a Dakar la pizza ce la facciamo in casa perchè non c'è una pizzeria degna di questo nome), ai festini a Seborga, o si fa un salto a Rocchetta ai laghetti, o una puntata a Triora, od un giro in qualche altro dei tanti bei posti che ci sono tanto dalla parte italiana che da quella francese. Mi piace anche semplicemente andare a fare una passeggiata con mia moglie o una corsa dietro a Mentone. E quando siamo a Grimaldi, fuori dalla finestra ci sono il mare ed il cielo; e tutto intorno i fiori di ogni tipo, il verde e la bellezza, e lo stare in famiglia.

C'è un proverbio africano che da solo riassume tutto il significato di questa intervista: ”Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia".

Stefania Orengo

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