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| 26 luglio 2015, 08:00

In & Out: ricordiamo il Nelson Mandela International Day con la storia di Merle Jacobs, che dal Sudafrica ha trovato la sua seconda vita vicino ad Apricale

Ricordo ancora quella sera, quando loro sono entrati in quel hotel del centro di Johannesburg assieme a noi, era la prima volta che lo facevano assieme a dei bianchi. Ricordo che abbiamo ordinato birra per tutti, andando contro le leggi del Apartheid, e dopo un attimo di esitazione siamo stati serviti, tesultando per il risultato.

In & Out: ricordiamo il Nelson Mandela International Day con la storia di Merle Jacobs, che dal Sudafrica ha trovato la sua seconda vita vicino ad Apricale

Il 18 luglio è stato il Nelson Mandela International Day, una festa importante non solo per i sudafricani, ma per tutti coloro che lottano e credono nei diritti civili. A modo nostro vorremmo celebrare questa giornata speciale, oggi, nella nostra rubrica dedicata anche a chi ha deciso di fare della provincia di Imperia la sua seconda vita. Questa è la storia di Merle, sudafricana, attiva durante l'apartheid ed ora abitante di Osaggio, non troppo lontano da Apricale.

Dal Sudafrica ad Osaggio, frazione di Apricale. Cosa ti ha portata qui? Dopo una vita di lavoro fatto di interpretariato, traduttrice, tour guide, ma soprattutto da insegnante di inglese, è arrivato il momento della pensione e al pensare dove trascorrerla. Ho scoperto il Ponente Ligure quando mia figlia Michelle abitava a Seborga. Lei è successivamente andata a vivere in Piemonte, ma è arrivata l'altra mia figlia, Terry. In tutti quegli anni ho cercato una casa con un po' di campagna. A febbraio 1997 l' ho trovata in un luogo incantevole, sopra la valle del Re o del 'Barone Rampante', ai piedi del Monte Bignone, vale a dire Osaggio. Abito qua da quando sono andata in pensione in 2005.

Puoi raccontarci un po’ della tua Africa? La mia Africa... Da giovane ero una ribelle istintiva, ribelle nei confronti dell'ingiustizia e dell'ipocrisia. Ho iniziato a scrivere i miei pensieri quando ero ancora alle superiori. Cercavo, con mio fratello Clive, di incontrare degli Africani neri andando nel 'township', dove viveva il popolo di colore che lavorava nella città 'bianca' a Bloemfontein, uno dei centri più razzisti del Sudafrica. Andare oltre la 'Colour Bar', la barriera del colore, era impossibile. Eravamo sempre trattati come figli di 'padroni'. Ho dovuto aspettare il ritorno a Johannesburg per realizzare questo forte desiderio... E poi, c'è la mia Africa, la terra che fa parte di me, la “savannah” che esploravo a cavallo da vera solitaria circondata da animali, i vasti terreni dei zii a Jacobsdal, con l'allevamento di migliaia di manzi e pecore. Adoravo stare lì in quegli spazi senza confine...

Durante il periodo di repressione in Sudafrica, hai collaborato con molti artisti e giornalisti famosi. Puoi raccontarci qualche ricordo? Il ricordo più importante è quando ho avuto la possibilità di trovarmi a tu per tu con gente di tutte le razze e colori: avevo 19 anni e mi ero appena sposata. Mio marito e io abbiamo scoperto di avere una vicina inglese con un via vai continuo di ospiti e amici. Una sera anche noi abbiamo ricevuto un invito da lei: questo è stato il grande cambiamento della mia vita!! Si mangiava, si beveva, si ballava la Kwela , si parlava naturalmente, scambiandosi idee e ideali. C'erano studenti e professori universitari, giornalisti, soprattutto del Drum Magazine e del Golden City Post, come Nat Nakasa e Lewis N'kosi. Siamo andati assieme sulle loro Vespa in città a vedere suonare Dollar Brand, ora Abdullah Ibrahim, uno dei più famosi pianisti jazz. Ricordo ancora quella sera, quando loro sono entrati in quel hotel del centro di Johannesburg assieme a noi, era la prima volta che lo facevano assieme a dei bianchi. Ricordo che abbiamo ordinato birra per tutti, andando contro le leggi del Apartheid, e dopo un attimo di esitazione siamo stati serviti, tesultando per il risultato. Era l'inizio della storia del nuovo Sudafrica senza limiti. Ho conosciuto la scrittrice Nadine Gordimer, il fotografo del Time e di Life Magubane, Hugh Masekele e più tardi, a Milano, Miriam Makeba, che ci ha raccontato la sua teoria seconda la quale Nat Nakasa, morto qualche anno prima, non si sarebbe suicidato a Manhattan, ma sarebbe stato defenestrato dai sicari delle SS Sudafricane.

Cosa si prova a vivere ad Osaggio, dopo una vita intensa come la tua? Tranquillità o troppa calma? Mi trovo benissimo ad Osaggio, nella mia oasi di pace, che ritengo importante per il benessere del corpo, dello spirito e dell'anima, assieme venticello che arriva dal mare attraverso il verde.

C’è qualcosa della cultura sudafricana che a volte ritrovi anche qui in provincia? Qui in provincia c'è poco di cultura sudafricana. Ogni tanto mi trovo con altri amici africani, ed è sempre un piacere. Qualche anno fa abbiamo realizzato una serata sudafricana con gli amici di Don Bosco: gli ho insegnato a cucinare una specialità tipica del mio Paese - il Babuti. Un amico Senegalese, Iba Faye ha suonato il tamburo assieme ad un amico marocchino che suonava uno strumento del deserto e abbiamo ballato, ballato, ballato.

Puoi dirci tre cose che ti mancano del tuo Paese e che qui non troverai mai? Lo spazio, l'orizzonte senza fine e un cielo notturno di velluto. In Africa hai la sensazione di poter toccare le stelle brillanti e la via lattea. E poi quella grande umanità e amore unici al mondo. Quattro anni fa sono tornata in Sudafrica. Viaggiavo sui pullman intercity, ero l' unica persona bianca in vista e non mi sono mai sentita più protetta e trattata con gentilezza!

Negli anni '60 quando ho lasciato il Sudafrica, mi hanno negato la cittadinanza. Mi hanno dato un 'exit permit', praticamente sono stata mandata in esilio. Essendo sposata con un italiano, il fotografo Paolo Prada, sono riuscita ad avere un nuovo passaporto.

Le poche volte che sono ritornata prima della Liberazione, è stato con permessi speciali dovuti a ragioni di famiglia. Ero sorvegliata e spiata e anche la mia posta veniva sempre aperta. Quest'ultima volta però è stata in piena libertà. Ho dovuto trattenere le lacrime vedendo il popolo integrato e libero, quello per il quale abbiamo lottato. Lacrime di felicità!”

Stefania Orengo

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