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Attualità | 01 agosto 2014, 10:06

Imperia: Agnesi, dalla fabbrica via altri macchinari. Un dipendente: "Prima della decisione di Colussi di chiudere, fantasticavo sull'università che avrebbe scelto mia figlia"

"La cosa che più mi ha ferito e che porto sempre nel cuore da quando ne sono venuto a conoscenza da mia moglie è che le ha chiesto se riusciremo almeno a farle finire il liceo in modo che possa cercarsi un lavoro per aiutare in famiglia"

Imperia: Agnesi, dalla fabbrica via altri macchinari. Un dipendente: "Prima della decisione di Colussi di chiudere, fantasticavo sull'università che avrebbe scelto mia figlia"

Questa mattina un altro macchinario, utilizzato per aspirare le impurità del grano, ha lasciato lo stabilimento Agnesi di via Schiva. Dopo i filtri, gli elevatori e le selezionatrici ottiche, un altro tassello del molino, in disuso da mesi, abbandona Imperia per la valle Lomellina, sede di una riseria del gruppo Colussi.

Per l'occasione riceviamo e volentieri pubblichiamo una nuova lettera di un dipendente dello storico pastificio onegliese. "Sono uno dei dipendenti Agnesi, all'inizio del 2015 dovrei ( il condizionale è d'obbligo nella attuale situazione) festeggiare 26 anni di lavoro all'interno dello stabilimento di via Schiva. L'agnesi è la mia seconda esperienza lavorativa, ne venivo infatti da 3 anni e mezzo presso un'industria metalmeccanica del primo entroterra quando ancora era sita in Borgomaro. Avuta la possibilità di entrare in “Agnesi” mi si è aperto il cuore, una dell più grosse fabbriche della città, con i miei tristi trascorsi di figlio di ex operai Renzetti (fallita nel 1978 per chi non lo sapesse) a cui è crollato sopra il mondo all'età di 15 anni sembrava un sogno.

E così è stato, pur non entrando con la mansione per cui avevo studiato (elettromeccanico), ho avuto modo di lavorare come carrellista in magazzino con colleghi che da lì a poco erano diventati amici, quasi fratelli con cui avevamo un buon rapporto, ci si aiutava l'un l'altro, si rideva, si scherzava, ma cosa importante si lavorava!! Si veniva al lavoro anche con la febbre, perché ci si sentiva come a casa: abbiamo passato dei bei periodi, mi sono sposato, ho messo su famiglia e nel '96 è nata mia figlia. In quei periodi eravamo sotto il “dominio francese”, veniva pubblicato un giornalino interno al gruppo Agnesi in cui si scriveva tutto ciò che succedeva all'interno dei vari siti produttivi. Non mancavano i fatturati che nel caso specifico dell'Agnesi erano sempre positivi, eppure abbiamo attraversato come tutti gli altri “marchi” periodi buoni e periodi cattivi. Nel '99 veniamo acquistati dal patron Colussi, di lì a poco ecco partire il primo colpo basso: dare in gestione il magazzino.

La maggior parte dei lavoratori vengono dislocati nei vari reparti, chi può andare in prepensionamento, chi se ne va per conto proprio. In magazzino resta una sola figura dell'Agnesi, l'addetto al pallettizzatore, vengono pure tolti i due impiegati dell'ufficio spedizione e mandati anch'essi nei reparti: risultano poco tempo dopo ammanchi di denaro sull'acquisto dei pallet nuovi che vengono venduti altrove dal titolare della allora ditta appaltatrice a discapito nostro. Tornano sui loro passi reimmettendo al loro posto gli impiegati e cambiata la ditta appaltatrice della movimentazione prodotti finiti. Primo errore della proprietà. Dopo pochi anni mi capita l'occasione di andare in portineria a sostituire, gioco della sorte il mio ex caporeparto del magazzino che raggiunge i limiti per il pensionamento.

Altra apertura di cuore, finalmente finito il lavoro duro (per l'età nel frattempo sopraggiunta), l'ernia che mi ero fatto venire per lavoro era ormai un ricordo di cui porto solo due piccole cicatrici. Ecco arrivare il secondo colpo basso, chiusura del Molino e terziarizzazione della portineria. Il mondo mi crolla addosso, lo stipendio lì era più alto rispetto a prima per il semplice fatto che eravamo dentro 24 ore su 24, 7 giorni su 7 ad alternarci nei turni, per cui mentre glia altri erano a casa in ferie e per le festività noi eravamo (nei turni diurni soli nell'intero complesso) lì a custodire il nostro posto di lavoro, la nostra fonte di reddito, per noi stessi e per le rispettive famiglie. Ho avuto la fortuna di essere ricollocato alla vecchia mansione, ma ciò non toglie che il dolore è grande, non solo per il rischio che tutto possa finire per noi che attualmente siamo in forze ora, ma per le future generazioni di giovani che vedono nello stabilimento una possibilità di fonte economica per la propria sopravvivenza, dato che nella città sono rimaste poche le attività ancora in “piedi”.

Ho già vissuto questa situazione quando ero ragazzo e non voglio che mia figlia possa provare lo stesso stato d'animo. Prima di questa drastica decisione del nostro Patron fantasticavamo su quale università potesse intraprendere dopo il prossimo anno scolastico, anche per il buon stipendio che portavo a casa ogni mese. La cosa che più mi ha ferito e che porto sempre nel cuore da quando ne sono venuto a conoscenza da mia moglie è che le ha chiesto se riusciremo almeno a farle finire il liceo in modo che possa cercarsi un lavoro per aiutare in famiglia. Non auguro a nessuno di sentirselo dire, credetemi è un tale dispiacere che il cuore ti potrebbe entrare in un'asola di bottone. Il dispiacere più grande è che non siamo a questi punti perché non siamo in grado di fare pasta buona, eccellente, perché lo stabilimento non riesce a produrre quanto necessario, bensì perché il tallone d'Achille del Gruppo a cui apparteniamo è la forza vendita.

In questo periodo di crisi occorre soddisfare anche il negozietto che ti compra solo 3 scatole di pasta, perché è sicuro di riuscire a venderle. Non si può aumentare il numero minimo ordinabile di cartoni di pasta da acquistare pena la mancata acquisizione dell'ordine: non si può affidare ai supermercati la sistemazione della pasta sugli scaffali senza nessuno che passi a controllare se rispettano le posizioni. Mi sono lamentato più volte di scorrettezze in un supermercato della provincia che metteva sopra il nostro scaffale i cartelloni con il nome di altri prodotti concorrenti: ma nessuno ha mai fatto nulla. Se siamo in alto mare non è per colpa del Molino in verticale o della scarsa qualità dei prodotti, bensì della negligenza imprenditoriale. Ci si sono presentate varie occasioni per poter approfittare ed uscire con qualche spot pubblicitario, tipo quella frase omofoba pronunciata dal nostro più grande rivale. Esplosa nell'aria come una bolla di sapone...

Il mio appello va alle Istituzioni, che trovino al più presto un sito dove “costringere” la proprietà a trasferire i macchinari per produrre pasta secca come abbiamo sempre fatto e non sughi o succedanei della pastificazione in cambio della variante al piano regolatore per l'attuale sede del sito di via Schiva. Aiutateci a mantenere la nostra dignità di lavoratori, ma soprattutto di mariti e padri. GRAZIE".

Francesco Li Noce

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