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| 17 marzo 2019, 10:30

Ultimo capitolo de "La stanza dell'aquila" il noir di Salvatore Grenci ambientato al Parasio

La vecchia osteria di Massabò era ubicata alla fine della Strà, proprio dove inizia la salita De Ferrari, di fronte a Porta Martina, l’antica soglia smantellata dai Genovesi nel diciassettesimo secolo.

Ultimo capitolo de "La stanza dell'aquila" il noir di Salvatore Grenci ambientato al Parasio

  "La stanza dell'aquila" - ULTIMO CAPITOLO

 

 Al tavolo della presidenza, il sindaco sembrava imbalsamato in una espressione di definitiva soavità , mentre la catatonia di Giacomo Mariani si manifestava nei continui, plateali saluti e strette di mano a coloro che si avvicinavano casualmente .

Seduto al centro, Gianni De Caro sembrava ancora più piccolo di quanto non fosse in realtà.

Continuava ad allentare il nodo della cravatta , mentre un inarrestabile crescendo claustrofobico gli faceva desiderare di essere altrove. 

     

 

-          Eccellenza il vescovo , monsignore, signor ministro, signori assessori regionali …-

 

Gianni osservava Mariani  sciorinare l’elenco delle autorità ; la sua voce gli sembrò lontana, ovattata , come profusa dall’ amplificatore di un grammofono d’altri tempi.

Volse lo sguardo verso il fondo della sala ; un giovane extracomunitario si affacciò, per un attimo , dall’atrio più lontano. Aveva le mani in tasca e il bavero della giacca rialzato.

“ Possibile che faccia freddo? “ pensò De Caro .

Lui sentiva caldo. Tanto caldo. … Enrico aprì il cestino di plastica azzurra e ne trasse un pezzo di focaccia triangolare “ se mi dai un  tocco di piscia all’Andrea , ti do un pezzo di focaccia “ .. do ut des. “ Bambini ! Entrate! “…

 

 

-          Dottor De Caro ?! , tocca a lei –

 

Gianni  ritornò in sede , velocemente. Ancora  stralunato , si alzò e  raggiunse il cavalletto  posto vicino al microfono ,coperto da un lenzuolino bianco. 

De Caro, con mossa decisa, scoprì il  sostegno.

Il cammeo dell’aquila era incastrato  nello scranno ; un riflettore lo illuminò  improvvisamente, esaltandone il colore di rubino.

               -Signori -   esordì De Caro – quello che potete ammirare è stato trovato in un 

                appartamento di un palazzo d’epoca. Qui, nel centro storico.

                Era occultato in una parete, dentro una nicchia.

                Si tratta di un cammeo di conchiglia sardonica raffigurante un’aquila, simbolo delle         

                Legioni di Roma antica e poi dell’Impero. 

                Sino ad oggi, ne esisteva un solo esemplare; esso è custodito  al Kunsthistorisches 

                Museum di Vienna. 

                Possiamo ragionevolmente ritenere che l’oggetto che potete ammirare sia stato prodotto tra il secondo                          

                ed il primo secolo avanti Cristo ! – 

 

Un silenzio irreale calò sull’aula affollata ; poi , dal fondo, qualcuno cominciò ad applaudire.

 

 

                                                        ******

 

Incuriosito, Enrico si fermò ad osservare il lavori di ristrutturazione del vecchio magazzino che un tempo era stata l’osteria di Massabò . 

Due uomini,apparentemente di nazionalità albanese o slava , stavano insaccando alcune mattonelle  esagonali, di cotto , divelte dal vecchio pavimento. 

 

-          Cosa ci fate, qui ? – domandò 

-          Ristorante .. o pizzeria , si? – rispose uno di loro. 

 

Enrico proseguì  sorridendo. Questa era una buona notizia; tra pochi giorni  sarebbe iniziato l’anno scolastico ed un ristorante sotto casa faceva sempre  comodo ad un “ single “  che la sera non aveva certo voglia di cucinare ; Una pizza ed una birra poteva sempre permettersele.  

 

Guardò distrattamente la cassetta della posta; era stracolma dei soliti depliant di vari supermercati . 

Si accorse che c’era dell’altro. Scrutò meglio l’interno della cassetta.

Il profilo inconfondibile di una busta bianca faceva capolino tra gli annunci pubblicitari.

“ Una bolletta” Pensò .

Prese la lettera  lasciando all’interno i volantini pubblicitari.

Era una busta oblunga, color carta da zucchero,profumata…

Non era una bolletta.

Sul frontespizio , il suo indirizzo era scritto con grafia regolare , delicata; in alto, a destra ,faceva capolino il busto della Regina Elisabetta. 

La voltò.

Le sue gambe diventarono improvvisamente molli come un budino: nello spazio riservato al mittente c’era scritto “ Paoletta” . 

La vista gli si annebbiò per un istante  ed il cuore cominciò a martellargli il petto come una mazza da baseball.  

Una lettera di Paula ! Non una  e-mail  ma una semplice , intramontabile , meravigliosa lettera.

Salì gli scalini dell’antico stabile tre alla volta; senza distogliere lo sguardo  dalla busta color carta da zucchero. 

Inserì la chiave nella toppa. 

Si lasciò cadere sul divano , nell’ingresso; con le mani che gli tremavano, lacerò grossolanamente l’involucro profumato e cominciò a leggere il testo.

 

                                                           

                                                                   Amore mio

 

Ci sei riuscito! Sono così felice che, adesso, tutto  mi sembra solo un brutto sogno.

Ero sicura che solo tu saresti arrivato alla soluzione, e non mi sbagliavo.

E’ quasi mezzanotte ; ti sto scrivendo sulla piccola ribaltina che la povera zia mi ha lasciato assieme ad altre poche , ma preziose, cosucce.

Ti chiederai come faccio a sapere  che tutto si concluso nel migliore dei modi. 

E’ semplice : Lei mi ha abbandonato. Definitivamente.

E’ strano, adesso che non la sento più provo un po’ di nostalgia ; dopo tutti questi anni vissuti assieme…..

Ricordi, Enrico, quella volta al Palazzo Lavagna ? tutto cominciò  quella lontana sera di giugno.  

Lei ha voluto servirsi di me per far conoscere  la sua  vita , breve e sventurata.

Tu sai , ovviamente, di chi sto parlando. 

Mi ha condotto dove era celata la lettera di Antommarchi; lo ha fatto ,tutto sommato, con pazienza, ma quando non riuscivo a comprendere i suoi suggerimenti, si incolleriva ed io avevo paura, tanta. 

Non riuscivo a capire  fino in fondo come dovevo comportarmi ; l’ho maledetta mille volte . 

Poi ho incontrato te ; è stata lei ad illuminarmi , a farmi intendere che eri la persona giusta  

Sai , gli psichiatri mi avevano quasi convinta che fossi malata , schizofrenica per l’esattezza ;  che vedevo e parlavo con persone che in realtà non esistevano. Che stupidi ! 

Capisci Enrico? si è servita di me per urlare alle generazioni venture che  è esistita; ha amato; ha sofferto , ha vissuto , come tutti noi. 

Rammenti cosa ti dissi due mesi fa, nella sala da pranzo della nave, durante la crociera? Quella frase di Richter “ La memoria è l’unico paradiso dal quale non possiamo esser scacciati “.

Amore, anche la rievocazione dell’inferno è un bene ; il ricordo del male passato  fa dire a noi stessi “ mai più “.

Soprattutto dobbiamo imparare a conoscere .

Oggi ho comprato un quotidiano italiano e nella pagina culturale ho letto l’articolo di uno scrittore polacco , Mark Halter, un ebreo che attualmente vive in Francia.

Il saggio parlava di  Auschwitz .

C’è una frase che mi ha colpito : questa : “ Milioni di grida disperate non possono scatenare in noi tanta compassione quanto ne desta la sofferenza di una sola , che però conosciamo”.

Ecco , Lei ha preteso di essere conosciuta; per questo si è ribellata alla morte e ,adesso, si è ribellata anche alla sua vendetta…. sai bene a cosa mi riferisco.  

 

Vorrei tanto rivederti, ma ho appreso di essere ricercata per omicidio premeditato e sono incredula, angosciata : io non ho ucciso Giancarlo , almeno intenzionalmente. Dio mi è testimone. Ma se lei mi ha costretto ha compiere un’azione tanto orrenda , una ragione dovrà pur esserci…

 

Sono molto stanca , tesoro, molto stanca , ma serena.

Ti prego, non cercarmi; vivo a Londra sotto falso nome e per te sarebbe praticamente  impossibile rintracciarmi. 

Se non dovessi più rivederti, mi consolerà la memoria, come sempre.

 

             Paoletta  

 

Si abbandonò languidamente sul divano; la testa rovesciata all’indietro. Lasciò cadere la lettera profumata sul pavimento.

Paula non sapeva che Santinato e Lacombe avevano deciso di assassinarla, dopo aver ottenuto le memorie segrete di Antommarchi, semmai Paula fosse riuscita , da sola, a ritrovare il prezioso documento ; era stata Elvira ad impedire che ciò avvenisse . 

Si poteva definire un delitto preventivo: aveva ucciso per impedire un assassinio , non solo per opporsi a chi intralciava il suo disegno  … 

 

Con uno scatto improvviso si alzò dal divano; un inquietante e affatto peregrino timore lo assalì  improvvisamente.

Come si sarebbe comportato il governo francese di fronte a quell’incredibile documento ? 

Certamente avrebbe messo tutto a tacere .

Di nuovo l’oblio; la perdita della memoria…. Elvira non lo avrebbe permesso. 

 

Aveva completamente dimenticato il nuovo suono personale del suo cellulare. 

Quando udì le prime stereotipate e marziali note di del “ponte sul fiume kway “ , si chiese se , casualmente, avesse programmato lo stereo su una nuova stazione radiofonica occupata dall’associazione nazionale combattenti e reduci.

Poi si accorse che il  display del telefonino, posto sulla libreria ,era illuminato.

-          Pronto ? –

-          Sono Dautierre, professore –

-          Come fa a conoscere il numero del mio cellulare ? –

-          Non si preoccupi, lo conosco e basta –

-          Cosa  vuole ? – 

 

Seguì solo un ansito leggero. Dautierre non riusciva  a proferire sillaba.

 

   

-          Lei ,ovviamente , ha letto quel ..documento – disse  infine

-          Ovviamente –

-          E’ tutto così assurdo, incredibile… –

-          Non mi ha ancora rivelato il motivo della telefonata –

-          Cosa devo fare, professore ? – 

 

Enrico provò un misto di compassione e di stima per il vecchio funzionario . 

 

-          Posso solo consigliarle di pensarci bene , prima di prendere qualsiasi decisione , compresa quella di portare a termine il suo incarico. 

-          Ho capito. Ci rivedremo al Cafè de Tourin ? – 

-          dipende – 

-          Ostriche e Muscadet  sono  un motivo valido ?

-          Certamente !

-          La contatterò nuovamente au revoir .  

 

Resto ad osservare il display che si stava  scurendo gradualmente; si sentiva più sollevato, ma anche immensamente triste.

 

 

                                                                      XIII

 

 

La prima classe dell’Istituto Tecnico per Geometri, da una prima sommaria  valutazione, sembrava, quest’anno, più attenta ed interessata; ma, ovviamente, le impressioni del primo giorno di scuola dovevano essere prese con le molle.

Stava tornando  lentamente, verso casa. Si vergognò non poco di non essere  riuscito a distogliere lo sguardo dall’ombellico scoperto della ragazzina del primo banco.

Oltretutto, nell’apprezzabile cavità,  aveva incastonato qualcosa di luccicante , una specie di  monile ; uno di quei ninnoli dozzinali che si acquistano in una qualsiasi profumeria, ma che fanno, comunque, un certo effetto.

 

I lavori di ristrutturazione dell’antica osteria di Massabò continuavano alacremente.

Calcolò mentalmente  una settimana  per la conclusione delle operazioni e l’apertura del nuovo ristorante.

Sali con imprevisto affanno la salita De Ferrari. 

Avrebbe dovuto  prendere  seriamente in considerazione l’eventualità di smettere di fumare una volta per sempre. 

 

Ancora una volta, stava mestamente constatando la ridondanza cromatica degli innumerevoli volantini pubblicitari che intasavano la cassetta postale.

 

Fu in quel momento che udì la sua voce.

 

-          Ti ricordi quando vincemmo contro i grandi della fondura ?-

 

Dapprima , non ebbe i coraggio di voltarsi, improvvisamente tormentato da un pensiero bislacco e terrifico : la convinzione momentanea di udire  delle “ voci”  , ma solo nella sua mente, ormai sconvolta in modo irrimediabile. 

 

-          Ti ricordi ? – 

 

No. Era una voce troppo umana, pur nella sua eterea soavità. 

Si voltò  bruscamente , lasciando  il mazzo di chiavi penzoloni  nella minuscola serratura della cassetta postale. 

Paula sorrideva. Era un sorriso che conosceva bene: ineffabile, luminoso , quasi solenne.

Non ebbe il tempo di agire e neppure di strabiliarsi perché Paula gli corse incontro e lo abbracciò .  

Sentiva il velluto delle  mani affusolate dietro la nuca ; si deliziò delle labbra tumide che baciavano ogni centimetro del suo volto. 

Per un tempo che sembrava infinito non rispose a tanta dolcezza, ancora incapace di agire ; costernato ed appagato al contempo da quella improvvisa, incantevole apparizione. 

Finalmente chiuse gli occhi e cinse i suoi fianchi. 

 

-          Mi sono presentata spontaneamente alla Procura di Milano – gli sussurrò continuando a tenerlo stretto a se –  mi hanno condotto da un certo dottor Vassalli e lui ha detto .. ha detto che non c’era nulla contro di me; che la storia dell’avvelenamento era solo…….. se ricordo bene…. Ha detto “ una congettura non supportata da alcun elemento probatorio “… -

 

Enrico la strinse  forte, beandosi del profumo che emanava la sua pelle accaldata.

 

-          Capisci, amore – riprese Paula – non  ho ucciso Giancarlo..io..io non so cosa  possa essere accaduto in realtà  c’è .. c’è un vuoto nella mia mente che non riesco a riempire ; non riesco a ricordare….. ma  l’importante e che adesso sono qui , con te ed è meraviglioso! –  

 

Non si accorse che Enrico stava sorridendo , e lui ne ebbe piacere . Quel lieve contorno sulle labbra poteva apparire come una beffa agli occhi di Paula ; una presa in giro della sua confusione interiore. 

Il fatto era che lui immaginava , per logica, cosa poteva essere accaduto . 

Adesso che le memorie segrete di  Antommarchi erano state recuperate, sarebbe stato pericolo portare avanti un’indagine che , inevitabilmente, si sarebbe intrecciata con  tutto il resto , con il rischio di palesare gli aspetti collusivi di  quell’incredibile vicenda. 

 

Si liberò dolcemente dal suo abbraccio  e la prese per mano.   

 

     - Vieni – mormorò con tenerezza  – andiamo a casa nostra -   

 

                                                           

                                                            ***                    

 

Allontanò la coperta e si sedette ai bordi del letto. Sbadigliò a lungo, frizionando energicamente la pelata. 

Si voltò ad osservare  compiaciuto i fianchi nudi di Paula, poi , meccanicamente , guardò l’orologio da polso.

Il martedì era il giorno peggiore; cinque ore piene. 

Paula mugolò , stiracchiandosi.

 

-          Buon giorno, rossa ! 

-          Buongiorno… -

-          Che programmi ,  per la mattinata ? – 

-          Dovrebbe venire il figlio di Brunello, per la lezione di  inglese – 

-          Perché ,questa mattina diserta la scuola ? –

-          Pare di si –  

-          Sei felice ? –

-          Non  sono mai stata così felice in tutta la mia vita –  

 

La vecchia osteria di Massabò  era ubicata alla fine della Strà, proprio dove inizia la salita De Ferrari, di fronte a Porta Martina, l’antica soglia smantellata dai Genovesi nel diciassettesimo secolo.

Un posto strategico per il nuovo ristorante. 

I lavori erano praticamente terminati; la sua attenzione fu attratta dall’insegna accostata al muro. 

Era verniciata di fresco ,  gia corredata ai lati  da due faretti . 

Distrattamente diede un’occhiata alla dicitura  e proseguì . 

Corrucciò la fronte; quell’insegna aveva qualcosa di familiare.

Tornò sui suoi passi e lesse con  attenzione : “ Nuovo Bar Ristorante Piemontese “. 

 

-          Che  dici, Berto approverebbe ? –

 

Non si voltò subito; aveva riconosciuto la voce di Piero e scoppiò in una fragorosa risata.

 

-          Quando hai deciso di trasferirti, vecchio imbroglione ? –

-          Beh  , diciamo che da qualche tempo preferisco i garofani ai tulipani –

-          E’ una scelta definitiva ? –

-          Credo di si .. a proposito , ho visto Danilo , sai.. non sa come comportarsi  con quelle … monete d’oro –

-          Ne parliamo all’inaugurazione del tuo ristorante , okay ?

-          Okay . A proposito , la tua Paula si è ricordata di assumere la pozione magica , questa mattina ? –

 

Risero a crepapelle.  

 

 

         

 

 

                                                  Epilogo 

 

 

Il commissario Serge Dautierre stava percorrendo lentamente l’interminabile Avenue Charles De Gaulle .

Aveva i piedi doloranti. Non sapeva spiegarsi per quale motivo aveva deciso di non usare alcun mezzo per raggiungere il dipartimento trentesimo , alla Defense.

Forse perché non aveva ancora le idee chiare . 

Non riusciva più a sopportare  l’imprevista  confusione del suo animo; l’estenuante indecisione sul da farsi. 

Il colonnello Beauniveau  era furibondo:gli aveva telefonato minacciandolo di farlo arrestare per alto tradimento se non avesse consegnato subito e personalmente il prezioso reperto. 

Aveva tenuto le memorie segrete del dottor Antommarchi nel cassetto della sua scrivania per ben quindici giorni. Quindici giorni ! Perché mai ? 

 

Camminava ricurvo, dondolando la valigetta di pelle contenente il famoso diario, quando si accorse della ragazzina che chiedeva l’elemosina.

Gli occhi enormi erano spersi nel vuoto ; aveva la mano tesa, ma non implorava ; non tentava di convincere .

Sembrava un pupo di terracotta; senza passato, né futuro. Senza vita.

“ chi sarà mai ? “ si comandò il commissario “ e soprattutto  chi sarà mai stata? “.

 

Serrò i denti sino a provare un dolore acuto alle mascelle, poi si voltò repentinamente e  con passo sostenuto raggiunse la stazione del metro  di Porte Maillot . Direzione: Boulevard  Saint Marcel, alla redazione del quotidiano più autorevole di Parigi. 

 

 

 

                                                                 FINE 

Redazione

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