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| 21 aprile 2018, 16:42

Dal “Diario di un emigrante” di Francesco Mulè: desideri ed emozioni di ieri e di oggi

Oggi siamo maggiormente convinti che possedendo e acquistando ci si avvicini di più alla cima della scala sociale

Dal “Diario di un emigrante” di Francesco Mulè: desideri ed emozioni di ieri e di oggi

Vallecrosia. Non c’è uomo su questa terra che non coltivi un desiderio in cuor suo e non c’è epoca in cui sia venuto meno in ciascun essere vivente il forte desiderio di crescita, di felicità, di miglioramento materiale e di maggior serenità. Oggi siamo maggiormente convinti che possedendo e acquistando ci si avvicini di più alla cima della scala sociale. L’uomo di questi nostri giorni insegue sempre di più il sogno della felicità, del possesso, della sicurezza personale e sociale. Non poniamo tregua quando ci accorgiamo di aver perduto quel piccolo spicchio di sicurezza e, allora, ci rimettiamo a rincorrere il prossimo traguardo di benessere.
Sicuramente l’uomo di oltre sessant’anni può ricordare che i suoi desideri di quand’era bambino erano molto più semplici: un piccolo cono gelato, una gassosa, un ghiacciolo, qualche caramella alla menta, una delizia di zucchero filato che faceva spalancare tanto di occhi a noi bambini. Per la fiera della Madonna del Rosario, che cadeva (se la memoria non mi inganna) la seconda domenica di ottobre, acquistavamo, con poche lire, una manciata di caldarroste che venivano preparate la sera sul posto tra Piazza Roma (chiazza granni) e Piazza Umberto (chiazza picciula).
Che divertimenti per noi bambini, di età tra gli otto e i tredici anni, che scorrazzavamo per le due piazze al suono delle trombettine, allo svolazzare dei palloncini acquistati con sole cinque o al massimo dieci lire; si correva per le strade del paese col naso in su, seguendo l’aquilone costruito con le nostre mani e con la nostra forte sete di divertirci portandolo sempre più in alto col filo il più a lungo possibile. E i giochi con le figurine dei calciatori che venivano acquistate col sistema del baratto tra noi bambini. Tutto era un desiderio, ma un semplice desiderio che ci appagava e serviva a riempirci l’intera giornata tra lo studio e il divertimento.
Tutto questo, guidati e spinti dal desiderio di divertirci fino allo stremo delle nostre energie. Sì, era proprio così. Oggi, invece, quali desideri se non quelli suscitati da ‘mamma TV’ che, per la maggior parte dei casi, vengono a creare disturbi e disagi più che emozioni!?
E gli appuntamenti tanto attesi con le giostre e in piazza Umberto I col cantastorie Ciccio Busacca che con la chitarra ci portava a conoscenza di tragiche storie? E la presenza di un piccolo circo montato o in Piazza Roma o nello spiazzo di Via Agrigento? Il piccolo paese veniva animato da grida di gioia di bambini in libertà per le strade orfane di automobili e prive, naturalmente, di incidenti e, quindi, di pericoli.
Piccoli/grandi desideri tanto desiderati e realizzati solo dopo parecchi giorni o mesi di attesa.
Quale grande gioia e quali e quante emozioni nei nostri cuori in quel giorno di festa!
A questo punto possiamo dire che il desiderio sia assolutamente padre dell’emozione. Ma è difficile che le nuove generazioni nutrano ampia consapevolezza di ciò che le emozioni possono offrire. Sono decisamente prive, e direi orfane di desideri essendo stati bambini ai quali è stato concesso tutto, molto prima di desiderare, senza aver prima desiderato.
Desiderio è ciò che manca, non conquista di ciò che c’è. I genitori o i nonni delle nuove generazioni imbottiscono di regali i loro bambini prima che questi li abbiano chiesti, prima che questi arrivino a desiderarli. Quelli sono doni o regali che hanno una brevissima durata; non li hanno sicuramente soddisfatti perché non li hanno ovviamente desiderati. E quando a un bambino si dà tutto, questi non si abitua a desiderare e quindi non può provare o produrre emozioni.
Emozioni di festa negli occhi che brillano di gioia per un paio di scarpe nuove regalategli in occasione di una grande festa (Pasqua, Natale, compleanno); emozioni di riconoscenza, di gratitudine verso i genitori che hanno permesso al dodicenne Claudio di partecipare alla gita scolastica con i suoi compagni di scuola e di classe e con i suoi professori in visita ai Templi di Segesta. Una visita e una gita che gli hanno permesso di imparare de visu non solo la storia, l’arte, ma anche i diversi modi di comportarsi con i compagni nuovi e con quelli dell’anno passato. C’è sempre da imparare; si va sempre incontro a nuove emozioni. Grazie alla gita, voluta, fortemente desiderata e, finalmente, conquistata!
In filosofia “desiderio” viene ad essere uno stato di affezione dell’io, consistente in un impulso volitivo diretto a un oggetto esterno, di cui si desidera la contemplazione oppure il possesso. La condizione propria al desiderio comporta, sovente, per l’io sensazioni che possono essere dolorose o piacevoli, a seconda della soddisfazione o meno del desiderio stesso. Dolore morale per la mancanza della persona cara o dell’oggetto di cui si ha assolutamente bisogno. Ma anche la gradevole e coinvolgente sensazione di poter presto rivivere un momento o situazione in qualche modo piacevole. I filosofi, sin dalle origini della filosofia, si sono domandati quale spazio dare ai desideri. Le risposte sono molto varie e variegate. Nel Fedone, Platone espone l’idea di una via ascetica; i cirenaici, al contrario, fanno della soddisfazione di tutti i desideri il bene supremo. Tutte queste riflessioni conducono a stabilire numerosi ‘distinguo’, come per esempio fa Epicuro nella classificazione dei desideri.
Egli mette al centro i concetti di piacere come bene, e del dolore come il male. Per godere del benessere (atarassia), l’epicureo deve applicare le regole del “quadruplo rimedio”: 1) – non si devono temere gli dei; 2) – non dobbiamo temere la morte perché quando ci siamo noi, lei non c’è; quando c’è lei, non ci siamo noi; 3) – il dolore viene facilmente soppresso, oppure si muore; 4) – il benessere è facile da ottenere. Così Epicuro classifica i desideri: naturali e vani. Tra i desideri naturali vengono collocati i necessari e quelli semplicemente naturali. Tra i necessari: i desideri per il benessere (atarassia), quelli per la tranquillità del corpo (protezione) e quelli per la vita (nutrimento, riposo). Nella categoria dei desideri semplicemente naturali vengono collocati quelli che riguardano la ricerca del piacere. E nei desideri vani: gli artificiali (la ricchezza) e gli irrealizzabili (desiderio d’immortalità). Secondo alcuni filosofi (Platone, Kant) la giustizia è la forma più alta di bellezza, e dunque il desiderio o sete di giustizia è quello più elevato. Per altri come Marx o Hegel il desiderio più elevato è quello dell’uguaglianza. Per Friedrich Nietzsche il massimo desiderio dell’essere umano è quello di diventare una persona che incarni il concetto del superuomo. Di gran lunga diverso il tipo di desideri per i giovani dei nostri giorni. Il tutto dovuto all’avvento di vari e svariati nuovi stimoli. La televisione, per esempio, fa e riesce a lievitare tanti desideri; con essa la pubblicità, i sogni di vincite ultramilionarie, di bellezza femminile perfetta, di fisici maschili atletici e muscolosi. Sogni quasi sempre spenti dalla realtà. Ad maiora!

Francesco Mulè

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