Al Direttore - 12 aprile 2018, 19:07

Sanremo: uomo morto suicida in un garage di via Lamarmora, il ricordo di un suo conoscente

Sanremo: uomo morto suicida in un garage di via Lamarmora, il ricordo di un suo conoscente

“Un passato travagliato, un cammino di riabilitazione, una ricaduta. Una persona nella sua situazione era da proteggere, tanto che un giudice lo aveva affidato ad un avvocato (Amministratore di sostegno), poiché aveva dei beni da gestire. Continuava ad essere in cura al Sert a causa di malattie collegate al suo passato, i servizi sociali lo conoscevano, ma erano anni che camminava dritto. È morto suicida”.

Inizia così il racconto di un amico (che si firma ‘Un suo conoscente addolorato e pieno di compassione e di interrogativi’) dell’uomo che si è suicidato nel suo garage di via Lamarmora a Sanremo. “Il suo problema principale era di essere riconosciuto nel suo cammino riabilitativo rispetto ad un passato che non gli apparteneva più. Il suo desiderio era quello di poter scommettere su una vita fatta di cose normali: un piccolo lavoro, un affetto, un minimo di tranquillità economica. Il suo assillo era la sua povertà sostanziale: era proprietario di una casa dove abitava (un bene lasciato da una sua zia) e di un garage, che per ragioni diverse non riusciva ad affittare. Non riusciva a sostenere più le sue spese di vitto e il pagamento delle bollette, anche una piccola entrata di alcune centinaia di euro ormai era terminata. Lui si è mosso per tempo, ha spiegato all’assistente sociale la sua situazione, ma pare non ci fossero soluzioni o possibilità di un aiuto; anche il suo amministratore di sostegno non aveva soluzioni. E il giudice tutelare? Alcuni amici avevano iniziato a fargli la spesa, lui era terrorizzato di non riuscire a cucinarsi il pranzo e la cena perché non avrebbe più potuto pagato le bollette. Si è impiccato, nonostante le tante istituzioni che si muovevano per lui, non ce l’ha fatta. Cosa gli ha fatto scegliere la morte rispetto alla vita? Gli mancava la fede, non ha retto alla pressione del suo passato, alla solitudine esistenziale che ci portiamo dentro, l’impossibilità di procurarsi da vivere autonomamente, l’incapacità di spiegare e farsi capire fino in fondo da qualcuno? L’orgoglio? Chissà. Ogni uomo porta in se motivazioni che possono essere causa di un gesto finale.  Ma solo quando le piccole motivazioni diventano troppe, subentra la disperazione. Una disperazione sorda, incontrollata. Una caduta nel vuoto, senza paracadute. La paura e la sensazione di non possedere la dignità per una possibile rinascita, l’impotenza. La morte per impiccagione era destinata agli ultimi degli ultimi. Ciao Massimo, riposa in pace”.

Carlo Alessi

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