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| 10 aprile 2018, 10:09

Sound impaziente e tenere armonie nella Poesia di Francesco Mulè

Francesco è prima di tutto poeta. Ed è giornalista

Sound impaziente e tenere armonie nella Poesia di Francesco Mulè

Francesco Mulè,

docente di Materie letterarie presso le scuole medie di Vallecrosia, è nato nel 1940 a Cattolica Eraclea,

in Sicilia, a oltre mille chilometri da dove sono nato io e ben ottanta giorni prima di me (è, piú vecchio di me,in poche parole!).

Francesco è prima di tutto poeta. Ed è giornalista: ha collaborato per “La Riviera”, “La Voce Intemelia”, per i quotidiani “Rinascita” e “L’Umanità”, ed è redattore della quotidiana

Agenzia Giornalistica Alpazur. Ha fatto proficua attività editoriale per una piccola editrice, la cooperS,

che ha pubblicato opere di qualità e i cui messaggi sono stati piú volte dibattuti con gli autori nei piú

importanti talk-show televisivi nazionali, a cominciare dal Maurizio Costanzo Show. E ha fondato

il Circolo culturale Smile. Ha promosso, insomma, cultura e poesia.

Poeta dialettale e in lingua, ha pubblicato “Il mio poeta”, presentato in Sicilia e in Liguria;

“Scogliera”, la cui pubblicazione è stata patrocinata dal comune di Cattolica Eraclea; “Fotogrammi”,

edito dalla sanremese Oceano Edizioni. Un suo florilegio poetico in dialetto siciliano è stato pubblicato,

ancora a cura del suo Comune di nascita, nell’antologia “Poeti popolari di Cattolica Eraclea”,

curata da Lorenzo Gurreri.

Ma veniamo al poeta:

«E al di là di quel cielo \ invisibile \ corpi sfocati \ eterogenei\

all'uomo senza tempo \ [...] \ al di là il gabbiano \ perde le ali \

e cade \ nel mare \ del tempo sommerso». Sono alcuni fra i piú bei versi

de "Il mio poeta", ampia silloge (poetica)del nostro Francesco Mulè,

che propone 77 poesie suddivise in tre capitoli,nelle quali, partendo

da un canto gioioso e doloroso insieme, che parla della sua Sicilia,

dove l'autore, «albero infermo» che ha lasciato  «profonde ... radici \

ove il petto brucia», cerca un ritorno che non ci sarà, e che,

quando sarà, si rivelerà triste momento("Con Gaetano").Nell'opera si

svela un «appassir d'erbe»,si sentono «le note d'un canto \ che un tempo

 fu nostro», si vede il mattino inzupparsi d'azzurro. La poesia di Mulè,

 ne "Il mio poeta", è una proposta di armonia con messaggio incorporato,

 un canto diffuso al vento, un rosario di versi che turbano e

consolano, un urlo, una minaccia,una preghiera e insieme una

bestemmia. Il tutto con un linguaggio che vuole essere criptico e

che diventa invece accessibile, addirittura penetrante fino alla lesione,

fino alla ferita da taglio,fino al dissanguamento che prelude a nuova

linfa, a una sorta di rinascita plasmica e plastica assieme, a un

recupero bio-psicologico. Nel messaggio di Mulè ci sono piú

sfaccettature: c'è il ricordo mascherato da nostalgia, ma c'è anche

la nostalgia della terra natia travestita da memoria storica. E c'è la

famiglia, ci sono i figli, c'è Gaetano che l'ascolta e gli sorride (il

verso «tu m'odi e mi sorridi» ha comunque una valenza ambigua, come un

richiamo angoscioso dal piú profondo inconscio), ci sono

sentimenti cullati dall'amore,ma anche dal risentimento, c'è

l'oppressione di un cielo diverso, ostile, di un nondialogo, di un

nonessere. Ma c'è anche la rivolta contro questo buco nero che

è spesso, per chi viene da lontano, questa aspra (e pur dolce)

terra di Liguria, contro l'inquinamento delle menti che genera egoismo e

disumanità.

«Un quadro è finito \ completo \ ricomincia l'arte. \ Il vento ripete \ le sue onde bizzarre». Sono le onde dell'arte, i colori del sogno ("Sognare"),le parole della musica, le note della poesia. Un anagramma che si fa luce, un riverbero che riflette il nulla-che-è-tutto dell'uomo e dell'infinito, un raggio che è lancia freccia pugnale laser. O, forse, bisturi?

Un lavoro monumentale, insomma, quasi un'enciclopedia, che affronta tutti i temi dello scibile e del sensibile, del conoscibile e del sensuale, dell'appetibile e del sensitivo. Un altare alla parola fatta poesia.

“Scogliera”  è un’altra delle opere poetiche edite di Francesco. La raccolta, la cui pubblicazione è stata patrocinata dal Comune di Cattolica Eraclea, dove è nato (ripeto) pochi mesi  prima di me, comprende pensieri («Si muore nella sabbia \ di tanti ieri», in “Cammino”), pennellate («Sassi logorati \ dall’onda \ come giorni \ consumati \ dal tempo», in “Giorni”), suoni («Rumor di cilindrate \ impazzite \ nell’aria stanca… \ manca \ la voce umana \ è assai lontana \ è di là \ l’afferro col cuore», in “Rombi”), brevi analisi filosofiche («Esteriormente \ ridotti nel mondo \ dell’uguale \ si differenzia la vita dell’uno \ che immobile gioca \ dentro il fervore \ del reale», in “Immobilismo”), ma anche camminate su sentieri di sogni reali e inventati, pietrosi, pulviscolari  e incantati: «Il sole brucia la luna \ e le ombre s’annullano» (“Mattino”), «e mi sfiora \ l’infinito \ […] \ nel buio d’un giorno \ solare» (“Alimenti pulviscolari”). «Il tempo si dissala \ sulle pagine lette \ […] \ nell’anima dei tuoi \ ricordi naturali \ che han mangiato il seme \ dei giorni di latte…» (“Occhi”). In questa raccolta l’autore fa una sorta di esame di coscienza. Un esame, però, traslato nella natura e disegnato nelle sue espressioni piú tormentate (“L’occhio del ciclone”, dove «Novembre ingiallisce \ le foglie […] \ il tempo la vita» e dove «la fantasia del cielo \ corre con l’acqua \ dei pensieri asciutti»), piú tenere (“Fertilità”, dove «Pini fanciulli \ amano vivere \ l’estate di canti \\ come ruscelli \ nel fiume di fresche \ parole»), piú convulse (“Ghiaie”: «Fiumi di case \ lacere voci nel vuoto \ versi sbiancati \ canti spogliati del loro colore \ grappoli lontani di remote stagioni \ ora m’acceco di ghiaie»), perfino piú polemiche («Pianto sorridente \ mentre l’aria \ s’inquina \ d’azzurro», in “Sequenze”). “Scogliera” passa in rassegna momenti scabrosi e spasmodici della vita del poeta, ma li traduce in versi dolci, in ritmi che sanno di misteriosi sentimenti e di passate incomprensioni chiarite. Sembra che egli, spalancati gli occhi spaventati di fronte alla crisi generale del comune linguaggio, vale a dire al minacciato perire di una civiltà che lo ha prodotto, che ci ha prodotto, sia corso ai ripari regalandoci un idioma puro, pulito, cercando, trovando e facendo trovare a noi lettori e fruitori della sua poesia le ragioni di una possibile speranza che non può che essere nel cuore della storia che il poeta vive: cioè nel valore della parola\logos.

E ci sono i “Fotogrammi”, l’ultima opera poetica, credo, pubblicata, almeno fino ad oggi, da Francesco. Queste poesie, per lo piú brevi come appunto s’addice a fotogrammi, ma non sempre brevissime, visto che, in fondo, con piú fotogrammi si fa un intero film, ci fanno conoscere dell’autore un modo nuovo, rispetto ai suoi precedenti libri, di concepire la vita, e molto spesso di un pessimismo lieve («rimane un cuore bagnato \ quando si fa sera \\ lo asciugo con la mia malinconia», appunto da “Malinconia”), ma accorato («Se vuoi l’azzurro \ guarda nel cuore \ d’un bimbo \\ il grigio \ lo puoi trovare \ dappertutto», in “Simbolo”).

E quando ci propone spiragli ottimistici, è lui stesso a non saperselo spiegare, al punto di non saper dare un titolo alla composizione: «Il cielo ti parla \ soltanto d’amore \ senza una virgola \\ continui a bere dell’acqua \ di fresca stagione», da una lirica intitolata “?!?”.

Senza contare là dove il poeta interrompe all’improvviso il suo poetare, precipitando da una piccola congiunzione («e») per finire in un baratro di “Sangue moderno”: «Ancora si piange \ al di là del mare \ dal calice si beve \ il sangue \ come dalla croce di Cristo \ ieri per i chiodi \\ oggi da un bottone un boato \ e piú di mille \ ti chiudono la bocca \ ancora non si ride \ e». E nel cadere, diviene albero. «Un albero vien giú \ se lo vuoi», come recita da “Pensiero che vale”.

Piú che in altre opere, qui si vede una raggiunta maturità anche nella diversa disposizione nei confronti del suo paesaggio (anche di quello familiare), della diversa posizione mentale di revisione del passato e di inserimento alla fine globale, nonostante le varie malinconie, dell’esperienza ligure, o della ligure attesa, e dell’esperienza matura dell’uomo meditante. Anche la mutata, la diversificata versificazione, aprono la sua poesia al canto aperto. Insomma, fotogrammi sonori ricchi di pathos e gonfi di vento poetico: questa, infatti, la sua “Sintesi”: «La vela si scioglie al mattino \ mentre tu canti l’amore».

A Francesco, su quest’opera della quale ha scritto una premessa che ulteriormente ne approfondisce ragioni e ispirazione, lasciamo questo commento, questa sua spiegazione. «Canto l’amore con le sue tempeste e la vita con i suoi numerosi sentieri e tornanti, canto l’inquietudine dell’insoddisfazione e la terapeutica voce del cuore, canto il ruggente e scomposto rumore dei sensi sovente poco inclini all’ascolto dei suggerimenti della voce della ragione. Poesia, la mia, avvezza a cantare le ragioni del cuore, che finisce col cadenzare la mia etica esistenziale e personale, in netto contrasto con l’insistenza materialistica di giorni spogli di contenuti etici e storici, Versi impregnati di quell’humus vitalis d’un animo che coglie dall’albero della vita il frutto maturato del mio tempo».

Ma non possiamo dimenticare il Mulè poeta dialettale, che ho apprezzato nella raccolta antologica “Poeti popolari di Cattolica Eraclea”, pubblicata, per volontà dell’amministrazione comunale di quel comune siciliano, a cura di Lorenzo Gurreri, dove, fra le altre bellissime sue liriche, ho particolarmente apprezzato “’U straneru” (da noi si sarebbe detto “U furestu”) che spero il nostro Francesco vorrà inserire fra le poesie da leggere qui oggi.

 

Lucio Martelli

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