Attualità - 03 dicembre 2017, 06:00

Rimedi contro i licenziamenti illegittimi: il Jobs Act ed il contratto a tutele crescenti.

Sulla questione molto si è discusso proprio perché l’attività di riforma ha sensibilmente modificato tutele riconosciute ai lavoratori in caso di licenziamento ingiustificato.

Rimedi contro i licenziamenti illegittimi: il Jobs Act ed il contratto a tutele crescenti.

A seguito dell’approfondita analisi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che ci ha impegnato nelle scorse settimane, andiamo oggi ad esplorare le novità in materia di licenziamenti introdotte dal Jobs Act, nel campo delle imprese medio-grandi con più di 15 dipendenti. Sulla questione molto si è discusso proprio perché l’attività di riforma ha sensibilmente modificato tutele riconosciute ai lavoratori in caso di licenziamento ingiustificato.
Infatti, se finora abbiamo imparato che l’art. 18 predisponeva una serie di tutele modulate a seconda del grado di illegittimità del licenziamento, con il Jobs Act, salvo limitati casi, si è cercato di generalizzare la formula del risarcimento economico come principale strumento di protezione del lavoratore. Per l’appunto, generando non poche polemiche, la tutela espressa nella forma della reintegrazione sul posto di lavoro è divenuta del tutto marginale, trovandosi ormai limitata ai soli casi più gravi di licenziamento illegittimo.
A tal proposito, prima di specificare i tratti salienti della nuova disciplina introdotta con il D.lgs. n. 23/2015, occorre fare ancora qualche piccola precisazione. Infatti, questo recente complesso normativo, al contrario di quanto sostenuto da molti, non va assolutamente a cancellare il vecchio articolo 18, che resta ancora oggi pienamente applicato ai contratti di lavoro sottoscritti prima del 7 marzo 2015. Solo per i rapporti avviati a partire da tale data (salvo eccezioni già considerate nei precedenti appuntamenti) l’art. 18 cessa di essere applicato, venendo sostituito dal c.d. schema del contratto a tutele crescenti.
Come si diceva, la nuova logica protettiva introdotta nel 2015 sposta sensibilmente il baricentro verso la tutela economica del lavoratore licenziato illegittimamente.

Infatti l’art. 3 del D.lgs. n. 23/2015 stabilisce che, a seguito di azione giudiziaria del lavoratore, nei casi di licenziamento in cui genericamente non ricorrano gli estremi dei giustificato motivo o della giusta causa addotti, il giudice dichiarerà comunque cessato il rapporto, condannando il datore di lavoro a pagare in favore del dipendente un’indennità risarcitoria commisurata alla sua anzianità di servizio. La “tutela crescente” dell’omonimo contratto si riferisce appunto all’entità del risarcimento da corrispondere al lavoratore, che viene predeterminata dalle legge in misura pari a due mensilità (non soggette a contribuzione) della retribuzione per ogni anno di servizio, nella misura minima di 4 e massima di 24. Per esemplificare: un lavoratore licenziato in modo illegittimo avrà diritto a 10 mensilità della propria retribuzione quando in possesso di una anzianità di servizio di 5 anni, oppure, in un differente caso, a 4 mensilità di risarcimento anche se assunto da un solo anno.

Fuori dalla regola generale, rappresentata da questa nuova forma di tutela economica del lavoratore, che si vede “dimezzata” nei casi di licenziamenti affetti da vizi di carattere formale e procedurale (si scende ad una sola mensilità per ogni anno di servizio del lavoratore), sopravvivono alcune limitate eccezioni.
Ad esempio, ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. n. 23/2015 si ripropone in favore del dipendente la tutela reintegratoria piena (anche nei casi di piccole imprese sotto i 15 dipendenti). Ciò accade quando venga accertata in giudizio la nullità del licenziamento (ex lege) oppure la sua natura discriminatoria (ai sensi dell’art. 15, l. n. 300/1970); quando questo venga intimato in forma orale; o quando sia carente di giustificazioni con riferimento alle ipotesi di disabilità psicofisica del lavoratore. A fianco alla ricollocazione del dipendente in azienda, garantita dalla succitata tutela reintegratoria, si prevede anche un’indennità risarcitoria, commisurata alla retribuzione, per il periodo compreso tra il licenziamento sino alla effettiva reintegrazione, in ogni caso non inferiore a 5 mensilità, dedotto quanto eventualmente percepito con altre eventuali attività lavorative (in modo del tutto simile alle previsioni dell’art. 18 in materia di tutela reale piena).

Un’altra eccezione alla regola del risarcimento esclusivamente economico del lavoratore è rappresentata dal caso in cui, nelle ipotesi di giustificato motivo soggettivo e giusta causa, venisse dimostrata in giudizio la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento (a titolo esemplificativo: Tizio viene licenziato per giusta causa per essersi picchiato con un collega, quando in realtà la rissa non è mai avvenuta). In questo caso, ai sensi dell’art. 3 del D.lg. 23/2015, il giudice annulla il licenziamento, ordina la reintegrazione del lavoratore e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria, per il periodo compreso tra l’allontanamento del dipendente ed il suo reintegro, in misura non superiore a 12 mensilità della sua retribuzione, dedotto quanto percepito o percepibile mediante altre attività lavorative (anche qui, in forma del tutto simile alla tutela reale debole prevista dall’art. 18).
Tuttavia, proprio in quest’ultima circostanza, la norma lascia trasparire un aspetto decisamente controverso. Infatti si stabilisce che il giudice abbia solo il compito di accertare l’esistenza o meno del fatto materiale posto alla base del licenziamento (nel nostro esempio, la rissa), senza possibilità di esprimersi sull’eventuale sproporzione del licenziamento rispetto al fatto commesso. Sottraendo al giudice ogni valutazione sulla proporzionalità tra sanzione e fatto contestato, ne deriva la possibilità di licenziare un lavoratore per comportamenti anche molto contenuti, ancorché rilevanti sotto il profilo disciplinare. Paradossalmente, con questo nuovo assetto normativo, è possibile – in teoria e pratica – licenziare un dipendente anche per 5 minuti di ritardo, dal momento che il fatto contestato esiste materialmente, ed al giudice è sottratto il giudizio di proporzionalità. Ciò non vuol dire che il licenziamento diventi legittimo, ma piuttosto che al lavoratore venga negata la possibilità della reintegrazione, riconoscendo in suo favore la sola tutela crescente prevista dal nuovo sistema generale!

Edoardo Crespi

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