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| 18 settembre 2017, 17:00

Terremoti per l’arte e il clima

Opere recuperate dalla chiesa di S. Pellegrino a Norcia - Foto: Vigili del Fuoco

Opere recuperate dalla chiesa di S. Pellegrino a Norcia - Foto: Vigili del Fuoco

SIENA - Nel mio pellegrinaggio culturale del sabato in quel di Siena, ero nel complesso di Santa Maria della Scala, l’antico ospedale divenuto cantiere aperto di musei, esposizioni e restauri - cunicoli scavati nel tufo, cappelle affrescate, i marmi originali della Fonte Gaia di Jacopo della Quercia che erano in Piazza del Campo, videomapping e molte altre cose - quando mi sono imbattuto in una mostra atipica, di bellezze ferite, capolavori artistici danneggiati.

Un enorme quadro impolverato, con la tela lacerata in più punti; un crocefisso di legno adagiato in una teca, spaccato a metà e senza testa, della quale osserviamo un frammento in un angolo; opere d’arte salvate, recuperate dalle macerie di chiese e santuari tra Spoleto e Norcia, dopo il terremoto che aveva colpito il centro Italia nell’ottobre 2016. Opere la cui “verità” è stata resa imperfette dal sisma, dal crollo delle divine architetture; sconquassi e detriti, preghiere incompiute, parziali contemplazioni, colori e forme modificati dalla terra che ha tremato, sbriciolando muri, tetti, volte, capriate.

Sapete quale immagine il mio cervello ha visualizzato, davanti a quella Vergine col Bambino o quel dipinto troppo scuro di cui non ricordo il soggetto? Dopo aver visto le proiezioni delle città semidistrutte? È una delle foto finaliste del Wildlife Photographer of the Year, la foto che avete cliccato almeno una volta in questi giorni, col cavalluccio marino aggrappato a un cotton fioc nel mare indonesiano.

La verità dello scatto, sotto la patina iniziale dell’incanto, è che il nostro Pianeta è sfilacciato, come le estremità cotonate del bastoncino e gli strappi delle pitture norcine. Il mondo che supponiamo bucolico, che ostinatamente crediamo infinito nelle sue risorse sfruttabili, perché siamo troppo ciechi e avvinghiati alle nostre abitudini, quel mondo in realtà è attraversato da detriti, rifiuti che inquinano nell’indifferenza globale. Poi proviamo a esorcizzare le paure dei cambiamenti climatici con espedienti digitali, informazioni in tempo reale inviate da radar e applicazioni sui telefonini, come il “Live Storm” approntato dalla Regione Liguria per conoscere i temporali.

Tuttavia, quella foto riesce a imprimere una vaga tenerezza sulla buccia delle coscienze, perché vogliamo stare a galla, anche quando il mare è più agitato, proprio come il minuscolo ippocampo. Magari impareremo a trasformare gli eccessi e gli sprechi del vivere contemporaneo in nuove, ingegnose e inaspettate risorse, un’economia più circolare e benefica di quella partorita dall’imperativo della crescita.

Luca Re

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