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| 09 settembre 2017, 09:39

#fondatasullavoro: approfondimento sul tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Sul punto occorre specificare come l’ordinamento imponga queste particolari precauzioni sono in alcuni specifici casi.

#fondatasullavoro: approfondimento sul tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Con l’appuntamento di oggi approfondiremo ancora il tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il cosiddetto 'licenziamento economico',  analizzando alcune procedure che il datore di lavoro è obbligato a rispettare quando intenda ricorrere a questa particolare soluzione.

Sul punto occorre specificare come  l’ordinamento imponga queste particolari precauzioni sono in alcuni specifici casi. Infatti, nel campo dei licenziamenti per motivi economici, i datori di lavoro sono obbligati a inviare una sorta di comunicazione preventiva di licenziamento allo Stato, ma solo quando abbiano alle dipendenze più di 15 lavoratori e solo con riferimento a coloro i quali, tra questi, siano stati assunti prima del 7 marzo 2015. La data del 7 marzo è fondamentale perché questa procedura non trova più applicazione per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti, vale a dire tutti i lavoratori subordinati a tempo indeterminato  assunti dopo l’entrata in vigore della riforma del Jobs Act.

In buona sostanza, nel campo di applicazione appena esposto, si impone al datore di lavoro che intenda licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, l’invio di una comunicazione preventiva delle proprie decisioni presso la Direzione territoriale del lavoro competente. Tale documento, che deve essere inoltrato per conoscenza anche al lavoratore, deve contenere non soltanto i motivi del licenziamento, ma anche le eventuali misure ideate dall’imprenditore per poter sostenere il ricollocamento del soggetto. Ricevuta la comunicazione, la Direzione territoriale, entro il termine di giorni 7, convoca le parti davanti ad una Commissione di conciliazione. In questa sede avviene un nuovo confronto tra lavoratore e datore di lavoro, e la stessa commissione partecipa attivamente (quale organo dello Stato) per poter elaborare delle soluzioni che siano alternative al licenziamento. Questa fase di dialogo deve concludersi di norma entro 20 giorni dalla data della comunicazione di convocazione.

Alla chiusura dei lavori, se le parti non hanno raggiunto un accordo sul ricollocamento del lavoratore (che potrebbe anche consistere nella risoluzione consensuale del rapporto e presa in carico del lavoratore da parte di agenzie per il lavoro) il datore di lavoro può procedere, in ultima istanza, al licenziamento. 

Questo articolato meccanismo assolve senz’altro alla finalità di rendere evidentemente più stabili i rapporti di lavoro, specie in periodo di crisi, ed è in grado di fornire un diretto report sulle condizioni dell’economia e delle imprese a degli organi dello Stato, quali le Direzioni territoriali del lavoro.  Inoltre il fatto di coinvolgere un interlocutore pubblico nel dialogo tra lavoratore e datore di lavoro, certamente riduce il contenzioso giudiziale, dal momento che i presupposti del licenziamento passano inevitabilmente anche sotto la lente della Direzione territoriale del lavoro. Ovviamente nulla vieterebbe al lavoratore di impugnare comunque il licenziamento, tuttavia questa forma di “controllo indiretto” può risultare utile anche al giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’atto, oltretutto dovendo egli tenere anche conto del generale comportamento assunto dalle parti.

Con l’entrata in vigore del Jobs Act, e quindi in relazione a lavoratori assunti dopo il 7 marzo, viene meno questo sistema. Ne deriva che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento può essere invocato, per le imprese con più di 15 dipendenti, anche senza il rispetto dell’iter sopra richiamato. Tuttavia, ai sensi dell’art. 6, D.lgs. n. 23/2015, viene introdotta, per tutte le ipotesi di licenziamento di lavoratori con contratto a tutele crescenti, un’offerta facoltativa di conciliazione. Attraverso tale strumento si cerca invece di limitare, in modo diverso rispetto al passato, l’impugnazione dei licenziamenti, e quindi il numero di controversie legali sul punto.

Infatti, il datore di lavoro, entro 60 giorni dalla comunicazione di licenziamento, può offrire al lavoratore licenziato una somma (esente sotto il profilo fiscale e contributivo) corrispondente ad una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio prestato, da comprendersi entro un minimo di 2 ed un massimo di 18. Nel caso in cui il lavoratore decidesse di accettare l’offerta (tradotta in un assegno circolare) egli accetterebbe contemporaneamente l’estinzione del rapporto di lavoro e rinuncerebbe ad ogni genere di impugnazione del licenziamento (comprese quelle eventualmente in corso).

Edoardo Crespi

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