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Al Direttore | 17 agosto 2017, 19:45

Le terre irredenti della Contea di Nizza ovvero l'altra faccia di Nizza Sabauda

Il racconto di Pierluigi Casalino

Le terre irredenti della Contea di Nizza ovvero l'altra faccia di Nizza Sabauda

"Non solo la devozione verso i Savoia, ma anche, in misura rilevante, l'attaccamento alla cultura ligure-piemontese e alla causa nazionale italiana caratterizzano la vita pubblica di Nizza prima di essere destinata alla Francia in forza del trattato di Torino del 1861: a seguito della cessione di una terra della tradizione italiana, che venne oltremodo forzata, ad un paese straniero, si generò infatti il risentimento di molti nizzardi nei confronti del 'mercanteggio politico' effettuato nel 1860. 'Se Nizza è francese, io sono un tartaro' ebbe a dire Giuseppe Garibaldi, che non era certamente animato da sentimenti filo-sabaudi.

Sta di fatto che Nizza contava nel 1860 circa 44 mila abitanti e nei due anni successivi un nizzardo su quattro prese la via dell'esilio. Gli studi più recenti, non ultimo quelli del Professor Vignoli, gettano nuova luce su una storia in gran parte sconosciuta e sulla quale si tende a far scendere un velo tutt'altro che onesto dal punto di vista intellettuale e storico. Ormai l'irredentismo nizzardo, comunque, lo si voglia o no, fa parte della Storia (con la S maiuscola), lo si voglia o no, e analogamente le vicende della appartenenza di Nizza e del suo contado alla pagina del nostro Risorgimento resta circostanza non cancellabile, come non cancellabili sono le radici delle genti brigasche delle zone che nel 1947 furono trasferite alla Francia con dei plebisciti prefabbricati dalla ragion di stato e originati dalla sciagurata guerra fascista. Ciò nonostante la traccia italiana, ligure, genovese e piemontese è tuttora presente in un modo o nell'altro sulla costa da Mentone e Nizza e anche oltre, perché nulla e nessuno può cassare con un un colpo di spugna quanto documenti storici inoppugnabili e cultura popolare ci dicono con estrema chiarezza. Dell'argomento mi sono occupato (e con me -  e in termini assai più meditati e reiterati - anche il Professor Gandolfo sempre su Sanremonews) in precedenti occasioni. Così va, seppur brevemente, ricordato nuovamente quell'irredentismo nizzardo e il conseguente esodo nizzardo in direzione di quella patria che, come disse Garibaldi, lo aveva reso straniero in essa.

Non è un caso che dieci anni dopo l'annessione alla Francia i nizzardi si ribellarono al grido di viva l'Italia e abbasso Napoleone III per rientrare nei confini nazionali. Negli anni Trenta del secolo scorso ancora a Nizza si parlava italiano. Se si eccettua la parentesi della seconda guerra mondiale che vide solo una parziale occupazione delle terre nizzardo-mentonesi (forse per segreti accordi con i francesi in vista di una concordata operazione monarchica - ma non esistono o non esistono più atti tali da dimostrarlo- per smarcarsi dai tedeschi e dallo stesso fascismo), il sentimento prima filo-sabaudo e poi decisamente italiano a partire dal 1861 e poi negli anni successivi alla caduta di Napoleone III resta in sé un momento di feconda trattazione culturale che non abbastanza le autorità italiane hanno avuto modo di riconoscere contemporaneamente alla celebrazioni francesi della cessione di Nizza e Savoia da parte dei Savoia. La lingua italiana, che aveva persino sostituito nell'area quella latina fin dai primi anni della libera dedizione di Nizza e del suo contado ai Savoia nel XIV secolo restò a lungo un simbolo di italianità incontrovertibile; e il ligure, più ancora che il provenzale, ma anche, se mai, il provenzale orientale, era dato di fatto linguistico senza ombra di dubbio affermato nell'intenzione dei nizzardi, anche per difendersi dalla invadenza francese non solo di quel periodo. Non è qui il caso, peraltro, di riaprire dolorose ferite e neanche di rinnovare inopportuni e oggi sterili argomentazioni nazionalistiche o addirittura sciovinistiche, che lasciamo ad altri promuovere, ma sicuramente di cercare di ristabilire una verità storica evidente, quella dell'irredentismo nizzardo. Da non dimenticare, invece, l'entusiasmo che si registrò a Nizza nel 1915 quando l'Italia scese in guerra a fianco della Francia contro gli imperi centrali: la ancora diffusa presenza di italiani a Nizza e nelle Alpi Marittime portò a manifestazioni di gioia nell'antica città sabauda inneggianti al comune destino di Italia e di Francia.

Prova che lo spirito italiano non era del tutto spento in quella città. La Breve Storia di Nizza e degli Altri Territori Italofoni, che pur con una certo intento di rivalsa, ripropone infine una seria ricostruzione di una pagina triste della storia nazionale e di un genocidio culturale che la Repubblica Italiana , grazie alla sua Costituzione, non ha mai voluto imporre alle minoranze etniche e linguistiche, nel rispetto di un'autonomia e di un pluralismo che neanche la stessa amministrazione piemontese conobbe, aldilà dei suoi meriti a riguardo del nostro Risorgimento.

Pierluigi Casalino”. 

Redazione

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