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Attualità | 21 ottobre 2016, 09:11

Sanremo: lo storico matuziano Andrea Gandolfo commenta l'articolo di Sanremonews sulla cappella di San Nicola nel cimitero della Foce

Il cimitero della Foce ha quindi ospitato sepolture fino al secondo dopoguerra, quando, non potendo più espandersi per via dei numerosi edifici sorti nel frattempo intorno alla sua area, è stato riservato unicamente ai vecchi proprietari che vi avevano mantenuto il diritto di inumazione.

Sanremo: lo storico matuziano Andrea Gandolfo commenta l'articolo di Sanremonews sulla cappella di San Nicola nel cimitero della Foce

Lo storico matuziano Andrea Gandolfo commenta l'articolo di Sanremonews sulla cappella di San Nicola del cimitero della Foce a Sanremo.

"La realizzazione dell’area cimiteriale della Foce si dovette all’iniziativa del sindaco Siro Andrea Carli, che nel 1838, per motivi di natura urbanistica e igienica, dispose il trasferimento del cimitero cittadino dalla zona di Pian di Nave, compresa tra l’attuale via Nino Bixio e la foce del torrente San Romolo, nel nuovo sito ubicato tra l’odierno corso Matuzia e la riva del mare dietro la moderna chiesa di San Rocco.

Le ragioni del trasferimento furono probabilmente dettate dal fatto che il vecchio sito cimiteriale era risultato troppo angusto e inadatto ad emergenze come quella dell’epidemia di colera scoppiata nel 1837, tanto da indurre l’Amministrazione comunale a disporre il trasloco del cimitero in regione Foce con una delibera che, secondo una diffusa tradizione orale, sarebbe stata invece motivata dall’eccessiva vicinanza della vecchia necropoli alla casa del sindaco Carli.

Ampliato successivamente di quinquennio in quinquennio, dal 1890 al 1895 e dal 1900 al 1905, già a partire dal 1888 il cimitero della Foce divenne oggetto di ripetute e insistenti proposte di trasferimento in un sito più capiente, subito individuato in un vasto appezzamento di terreno in Valle Armea, dove poi sarebbe stato inaugurato il nuovo cimitero cittadino nel 1949.

Il cimitero della Foce ha quindi ospitato sepolture fino al secondo dopoguerra, quando, non potendo più espandersi per via dei numerosi edifici sorti nel frattempo intorno alla sua area, è stato riservato unicamente ai vecchi proprietari che vi avevano mantenuto il diritto di inumazione. Tipico cimitero ligure, la necropoli della Foce, pur essendo attualmente in uno stato di semiabbandono, conserva tuttora numerose opere d’arte, soprattutto di natura scultorea, che rimandano al periodo più fulgido del Liberty sanremese, del quale condividono spesso le maestranze, gli architetti e le committenze.

All’ingresso del cimitero spicca la cappella della famiglia Marsaglia, il cui progetto originario venne commissionato nel 1901 dalla vedova di Giovanni Marsaglia, Giuseppina Roverizio, all’architetto Pio Soli. Gli eredi Marsaglia fecero quindi richiesta al Comune di uno spazio di circa 60 metri quadrati per erigervi la nuova cappella. Non essendo però disponibile questo terreno e appartenendo la zona antistante l’area cimiteriale ai Marsaglia, gli eredi offrirono di donare questo appezzamento, vasto 2600 metri quadrati, e di recintarlo a loro spese.

Tale generosa offerta non venne tuttavia accolta immediatamente, ma dovette subire una serie di lungaggini burocratiche, finché dopo il 1903 fu accettata. Il 23 marzo 1904 venne redatto a Torino il progetto per la cappella funeraria di Giovanni Marsaglia da parte di Giovanni Vacchetta e Pietro Canonica.

Il primo, professore ordinario di Ornamenti al Regio Museo Industriale e alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Torino, si occupò principalmente della decorazione pittorica dell’edificio, curò i particolari che abbelliscono la cupola e il perimetro della cappella, e realizzò i medaglioni bronzei, la vetrata, i marmi policromi, i vasi e le colonne che reggono le corone di lauro.

Canonica fu invece l’autore degli artistici gruppi marmorei collocati all’interno e raffiguranti La Pietà e alcune Pleureuses, di gusto prettamente simbolista. Scultore ufficiale della famiglia Marsaglia, Canonica applicò al meglio le sue conoscenze dello stile floreale assimilate a Torino agli inizi del Novecento, proprio nel periodo in cui operò nella nostra città, abbandonandole nel prosieguo della sua attività artistica per uniformarsi a quelle di un distaccato manierismo accademico.

Di notevole valore artistico è anche la tomba di Giuseppe Tallevici, realizzata nel 1909 su progetto di Francesco Sappia. L’edicola si caratterizza per l’elegante forma a ciborio e i frontoni fittamente decorati a tralci d’edera a rilievo, una tipologia che, con la variante delle foglie d’ippocastano, è possibile ritrovare spesso nel repertorio decorativo dei principali edifici progettati dal Sappia.

Altri elementi, ricollegabili a motivi eclettici di repertorio, sono costituiti dalle palmette agli angoli e alle sommità dei timpani e dai grifi sporgenti ai lati, mentre sono più strettamente legate alle soluzioni tipiche di Sappia le decorazioni a foglia d’edera che coprono i timpani dell’edicola, in base ad una sensibilità artistica di gusto liberty recepita dall’autore a Torino. La tomba, costituita da marmi policromi, è arricchita inoltre da due sculture di Vincenzo Pasquali, raffiguranti un busto del conte Tallevici e l’immagine genuflessa di una bimba, che era la figlia dello stesso Tallevici.

Pure significativa è la cappella dei conti Roverizio di Roccasterone, eseguita nel 1898 su progetto di Pio Soli, che vi applicò i moduli espressivi tipici di architetture tardorinascimentali e tardogotiche di origine settentrionale o francese, mentre la struttura generale dell’edificio è di chiara ispirazione neorinascimentale sottolineata da un gran numero di guglie, pinnacoli, festoni, volute e palmette.

Da segnalare è anche la tomba di Catherine Coudlougon, realizzata nel 1924 dallo scultore belga Jules Pierre Biesbroeck e dall’architetto Silvio Gabrielli. Il primo eseguì il gruppo bronzeo sovrastante la tomba e raffigurante la signora Coudlougon ricongiunta alla figlia, morta bambina, dalle braccia pietose di una figura angelica, secondo un gusto e una sensibilità tipicamente liberty, mentre Gabrielli portò a termine la parte architettonica retrostante il gruppo bronzeo.

Attribuibile a Pio Soli è invece la cappella Vigo, edificata verso la fine dell’Ottocento e contrassegnata da un abbondante apparato decorativo costituito da palmette d’angolo, frontoni, lesene, colonne e festoni, inseriti in un impianto architettonico di tipo neorinascimentale con elementi neogotici. Dello stesso Soli è quasi sicuramente anche la limitrofa cappella Picconi, che presenta le stesse caratteristiche della Vigo.

Nel 1909 lo scultore locale Enrico Formaggini realizzò un’altra pregevole cappella, quella della famiglia di Giovanni Sisini, che risulta alleggerita da cancellate in ferro battuto, mentre nel vano tra i due cancelli si innalza una croce su un piccolo altare, nel cui paramento di fondo sono incise le parole Fiat voluntas tua.

Ai lati, sopra due stele, sono collocati i mezzi busti dei coniugi Sisini, ritratti in modo particolarmente realistico, così come sono segnalabili per il loro valore artistico le decorazioni e il cancellino in ferro battuto della cappella. Notevoli sono anche le tombe realizzate dallo scultore sanremese Filippo Ghersi, come quella di Sophie ed Edward Johnson, eseguita nel 1867 e costituita nella parte inferiore da un’ara sacrificale ornata da un bassorilievo con la raffigurazione di un angelo nell’atto di allontanare due bambini dalle braccia della madre, mentre nella parte superiore del sarcofago i due fratellini di tre e cinque anni dormono teneramente abbracciati sopra un morbido e accogliente materasso.

Nel sepolcro di Frederick Smith, realizzato nel 1876, Ghersi volle invece raffigurare il piccolo Frederick seduto sulla punta di una roccia con uno sguardo accigliato e severo, mentre stringe tra le mani un ramo di quercia spezzato, emblema forse della vita prematuramente troncata.

Molto realistica è pure la tomba del medico Alessandro Rambaldi, realizzata da Ghersi nel 1883, con il titolare della lapide effigiato in modo particolarmente fedele all’originale, con lo stesso tono che caratterizza anche altre due tombe eseguite da Ghersi: la tomba Bogge e la tomba di Laura Pesante (1886), la quale, pur non essendo firmata, è quasi certamente attribuibile alla produzione dello scultore matuziano.

Discreto interesse riveste pure la tomba del dottor Jacobson, realizzata nel 1881 dal genovese Rota, nella quale le figure, effigiate come un gruppo di oranti, si staccano da un finto bassorilievo costituito da un piano di marmo, in ossequio a un canone squisitamente neorinascimentale.

Tra le altre numerose sculture funerarie che adornano i sepolcri del cimitero, caratterizzate dagli stili più vari come quelli riconducibili al realismo, al neoclassicismo, al simbolismo e al déco, si segnalano in particolare quelle dovute ad artisti di chiara fama, quale, oltre ai già citati Pasquali, Formaggini e Ghersi, il sanremese Domenico Carli, già autore di pregevoli monumenti funebri nel cimitero genovese di Staglieno"

 

Redazione

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