- 16 ottobre 2016, 11:39

La vera storia di Oscar Rafone: Bingo! (cap.34)

Pubblichiamo ogni domenica il libro di Enzo Iorio, suddiviso per capitoli, per offrire a tutti un momento culturale nella 'giornata on line

La vera storia di Oscar Rafone: Bingo! (cap.34)

Non so quanto tempo impiegai ad addormentarmi quella notte. Mi misi a contare tutti i respiri di Zamina che dormiva, uno per uno, e piano piano scivolai nel sonno anch'io. A un certo punto sentii le voci di alcune persone che parlavano tra di loro. Non capivo cosa stavano dicendo ma pur continuando a tenere gli occhi chiusi percepivo la loro presenza molto vicino a noi. Poi una frase venne ripetuta più volte da diverse persone e la afferrai con chiarezza: — Guarda nella borsa.

Fu allora che Zamina si mise a urlare.

Mi svegliai completamente e ci misi qualche secondo per capire cosa stesse succedendo. Erano arrivati i carabinieri. Nella stanza c'era ancora buio e un paio di essi tenevano delle grosse torce accese puntate verso di noi. Intravidi anche altri uomini, due o tre, non in divisa, che stavano intorno a quello che rovistava nella borsa di Zamina, una sacca di stoffa che lei portava a tracolla e dalla quale non l'avevo vista separarsi praticamente mai. Adesso lei era scattata in piedi e continuava a urlare mentre tentava di allungare le mani verso la sua borsa; un carabiniere cercava di impedirglielo. Lei si mise a scalciare, faceva di tutto per divincolarsi e intanto continuava a urlare parole che non capivo. — Stai zitta, — le faceva il carabiniere, ma Zamina urlava ancora più forte.

Io mi sollevai sui gomiti. Mi stropicciavo gli occhi cercando di comprendere per quale motivo due ragazzi venissero assaliti in quel modo, di notte, da un gruppo di carabinieri. Uno di essi si rivolse direttamente a me: — Sei Rafone Oscar?

— Sì, sono io, — farfugliai.

— Alzati.

Feci appena in tempo a tirarmi su che fui afferrato con forza e spinto contro la parete. Una mano mi teneva la faccia premuta al muro.

— Allarga le gambe.

Avevo addosso solo i pantaloni, perché la maglietta l'avevo lasciata a Wrestler, e il carabiniere mi tastò solo le tasche, quelle davanti e quelle di dietro. Sapevo che erano completamente vuote e quando mi chiese se avessi un cellulare gli indicai un punto tra il materasso e la parete. Lui lo raccolse e se lo fece scivolare in una busta.

— Bingo! — gridò l'uomo che stava perquisendo la borsa di Zamina. Mi voltai, teneva il braccio destro alzato e faceva sfarfallare la mano. Stringeva un mazzetto di banconote.

Enzo Iorio

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