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| 14 agosto 2016, 07:31

La vera storia di Oscar Rafone: Avrei preferito prendere io le botte riservate al mio cane (cap.25)

Pubblichiamo ogni domenica il libro di Enzo Iorio, suddiviso per capitoli, per offrire a tutti un momento culturale nella 'giornata on line'

La vera storia di Oscar Rafone: Avrei preferito prendere io le botte riservate al mio cane (cap.25)

A proposito di Wrestler! C'era una domanda confusa che tornava ad affacciarsi alla mia mente dalla sera che Zamina mi aveva riportato i pantaloni e la camicia.

Sapevo che era penetrata nel mio appartamento senza suonare il campanello e senza chiedere permesso, naturalmente, ma, temendo di metterla in imbarazzo con richieste di informazioni troppo precise, non le avevo domandato come ci fosse riuscita. Solo dopo, ripensando a Wrestler, la mia frase divenne chiara e limpida.

— Dov'era il cane? — le chiesi.

— Quale cane?

Dio mio! Pensai e rimasi con la bocca aperta. Ebbi un tuffo al cuore; mi mancava il fiato.

— Wrestler! Il mio cane, — riuscii a dire con la voce strozzata.

— Non c'era nessun cane o, almeno, io non l'ho visto.

NON C'ERA di sicuro, altrimenti lo avrebbe visto. Anzi LUI avrebbe visto lei! Wrestler non era un rottweiler cattivo, ma il suo lavoro lo sapeva fare bene e fare la guardia all'appartamento in assenza dei padroni era uno dei suoi compiti preferiti. A volte ringhiava perfino quando per le scale, oltre la porta chiusa, passava qualcuno che aveva un odore o una voce che lui non aveva catalogato come "vicini", figuriamoci se un estraneo avesse cercato di intrufolarsi in casa senza di me. Inoltre mio padre, che aveva un'avversione particolare per gli zingari, quando lo portava fuori, lo aizzava spesso contro di loro, così che Wrestler aveva imparato a riconoscerli dall'aspetto anche da lontano.

Il mio povero Wrestler! Mio padre me lo aveva regalato quando ero ritornato a vivere con lui. A quell'epoca cercava di dimostrarmi che era cambiato e che mi voleva bene. Forse era vero. Anzi, sono sicuro che me ne volesse anche tanto di bene, però io imparai presto che dovevo stare sempre molto attento a come mi comportavo. Sapevo che l'umore di mio padre era spesso instabile. Mi veniva da rappresentarmelo come un sacchetto di plastica vuoto sospinto dal vento. Avevo già sperimentato come a un complimento o a un abbraccio potessero seguire bestemmie, minacce e calci nel sedere. Sì, lo so che sono un ragazzo maleducato e che a volte faccio delle cavolate e che sicuramente certe sberle me le sono proprio meritate, ma non riuscivo ad accettare che mio padre, quando io non ero a portata di mani, dovesse sfogarsi sul mio cane. Avrei preferito prendermele io le botte che riceveva Wrestler. E invece, quante volte, dopo che io me l'ero scampata con una fuga precipitosa per le scale, ritornando a casa la sera, con la speranza che la rabbia di mio padre fosse sbollita, ritrovavo lui ubriaco fradicio con la fronte incollata sul tavolo della cucina e Wrestler che mi veniva incontro zoppicante e con la coda fra le zampe. Tremava. Io lo sollevavo sulle mie braccia e me lo portavo in camera. Restavo ad accarezzarlo e a parlargli sottovoce fino a quando non si addormentava sul mio letto. Il giorno dopo mio padre si presentava con un regalo per me. Un cellulare nuovo o un gioco per la play o cinquanta euro "per la pizza". Non sapevo cosa farmene dei suoi regali riparatori, li odiavo. Molti li tenevo chiusi in un cassetto sotto il letto, senza averli neanche mai aperti.

 

Enzo Iorio

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