ELEZIONI COMUNE DI SANREMO
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Al Direttore | 25 luglio 2016, 07:44

Le vicende storiche del territorio provinciale imperiese quando passò sotto il dominio del Regno di Sardegna

Alla fine dell'Ottocento.

Continuando la sua storia del Ponente ligure, ecco la quinta puntata di Andrea Gandolfo, dedicata alle vicende storiche del territorio dell’attuale provincia di Imperia dal congresso di Vienna, nel 1814-15, quando anche la nostra terra, come il resto della Liguria, passò sotto il dominio del Regno di Sardegna, alla fine dell’Ottocento.

Dopo un breve quanto effimero periodo di restaurazione della Repubblica genovese, nel dicembre 1814 il Congresso di Vienna assegnò la Liguria al Regno di Sardegna, che prese ufficialmente possesso del nuovo dominio nel gennaio dell’anno successivo, per punire Genova della sua neutralità nei confronti di Napoleone consentendo finalmente al Piemonte di estendere il suo dominio al mare, un’ambita meta per cui esso aveva combattuto strenuamente per secoli. Il nuovo ordinamento amministrativo sanciva così la definitiva perdita di importanza politica da parte di Ventimiglia a scapito di Sanremo e Oneglia, che veniva premiata per la sua fedeltà ai Savoia. La neocostituita divisione di Nizza venne quindi ripartita nelle tre province di Nizza, Sanremo e Oneglia, con le ultime due che amministravano il territorio da Ponte San Luigi al Merula nei pressi di Andora, mentre lo storico marchesato di Dolceacqua si scioglieva e Monaco tornava sotto la sovranità dei Grimaldi, che nel 1848 avrebbero perso Mentone e Roccabruna, erettesi a «città libere» e poi occupate militarmente dai Piemontesi fino all’annessione alla Francia nel 1860. Nel 1815, intanto, il territorio di Bordighera e Sanremo era stato teatro di una serie di sanguinose aggressioni a numerosi abitanti da parte di un branco di lupi cervieri, ma, nonostante questa ed altre calamità quali terremoti, epidemie e gelate, il periodo della Restaurazione in Riviera fu contraddistinto da una generale ripresa delle attività sociali e commerciali con Ventimiglia che riacquistò la sua importante funzione di piazzaforte di frontiera anche attraverso la ricostruzione del Forte San Paolo e della ridotta dell’Annunziata, mentre la coltivazione degli ulivi e degli agrumi, in particolare, alimentavano i traffici marittimi di Sanremo, Porto Maurizio e Oneglia, approfittando di un periodo di pace che agevolava il progresso economico e sociale del Ponente. Frattanto, nell’agosto del 1831, venne formalizzata l’aggregazione alla Diocesi di Ventimiglia di venticinque parrocchie, in gran parte dislocate nel comprensorio sanremese, per ricompensare il ritorno di otto parrocchie precedentemente passate alla Francia, in esecuzione della bolla pontificia Ex iniuncto Nobis Coelitus, emanata da papa Gregorio XVI il 20 giugno precedente, con la quale venivano stabiliti ufficialmente i nuovi confini diocesani tra Albenga e Ventimiglia; in base alla nuova ripartizione la Diocesi di Ventimiglia assunse la giurisdizione ecclesiastica sui comuni di Andagna, Badalucco, Boscomare, Bussana, Carpasio, Castellaro, Ceriana, Cipressa, Coldirodi, Corte, Costarainera, Lingueglietta, Molini di Triora, Montalto, Poggio, Pompeiana, Riva, San Lorenzo, Sanremo, Santo Stefano, Taggia, Terzorio, Torre Paponi, Triora e Verezzo, già appartenenti alla Diocesi di Albenga, e sulle località di Apricale, Buggio, Dolceacqua, Isolabona, Perinaldo, Pigna, Rocchetta Nervina e Seborga, già dipendenti dalla Diocesi di Nizza. Nello stesso 1831 Carlo Alberto era intanto succeduto a Carlo Felice sul trono del Regno di Sardegna, mentre sempre nel medesimo anno il comprensorio sanremese veniva colpito da un violento terremoto, che danneggiò molti abitati causando numerose vittime e arrecando gravi danni agli edifici. Quattro anni dopo l’estremo Ponente fu colpito da un’altra calamità, una grave epidemia di colera, forse portata dal mare, che in brevissimo tempo si diffuse in tutto il comprensorio, e in particolare a Porto Maurizio, Diano Marina e San Lorenzo al Mare, mietendo un gran numero di vittime, mentre tra il luglio e il settembre del 1837 il morbo avrebbe contagiato soprattutto la popolazione di Sanremo, dove si registrarono oltre 350 decessi a causa della micidiale pestilenza.

Nel periodo risorgimentale furono attivi in Riviera anche molti patrioti che si battevano per la causa dell’unità italiana, tra i quali tanti erano gli aderenti al movimento mazziniano che parteciparono ai moti del 1833, subendo condanne e arresti, mentre numerosi fuorusciti ponentini andarono ad ingrossare le fila degli esuli italiani all’estero, da dove continuavano la loro propaganda degli ideali di libertà e democrazia. L’arresto degli affiliati alla «Giovine Italia» condusse tra l’altro al suicidio in carcere del fedelissimo mazziniano Jacopo Ruffini, fratello di quel Giovanni che andò esule in Inghilterra, ove scrisse i celebri romanzi Lorenzo Benoni e Il dottor Antonio, due opere che, oltre a far conoscere al pubblico britannico le particolari bellezze artistiche e paesaggistiche della nostra zona, avrebbero contribuito a ispirare una viva simpatia agli Inglesi nei confronti dei patrioti italiani. A Porto Maurizio, dove Elia Benza aveva capeggiato l’insurrezione del 1833, si ebbe in particolare il maggiore centro di irradiamento delle idee mazziniane nel Ponente, mentre a Oneglia si distinse soprattutto Giovanni Battista Cuneo, amico fraterno di Garibaldi e Mazzini, oltreché di Carlo Belgrano. Tra i patrioti locali i succitati fratelli Ruffini, nonostante fossero originari di Genova, erano taggesi di adozione per parte materna, Cuneo e Belgrano furono esuli in America Latina, dove entrarono in stretti rapporti con Garibaldi, il quale, da ragazzo, era stato mozzo sul brigantino La Costanza del capitano marittimo sanremese Angelo Pesante, rimasto poi amico per tutta la vita del condottiero nizzardo, al cui seguito si sarebbero uniti anche alcuni dianesi per partecipare alla spedizione dei Mille. Dopo l’emanazione dello Statuto Albertino nel marzo 1848 e le successive vicende fino alla seconda guerra d’Indipendenza del 1859, in seguito ad accordi segreti stipulati tra Cavour e l’imperatore francese Napoleone III, si concretizzò la sofferta e dolorosa decisione della cessione di Nizza e della Savoia alla Francia in cambio del consenso dell’imperatore all’annessione al Piemonte di Toscana ed Emilia. Tale decisione non sembra tuttavia essere stata esente da errori e manchevolezze soprattutto da parte di Cavour, il quale poteva forse compiere scelte più avvedute dopo l’armistizio di Villafranca, mentre la sua subalternità nei confronti di Napoleone non contribuì ad una maggiore tutela dei diritti dei territori ceduti con il trattato di Torino del 24 marzo 1860, in cui venne stabilito che i futuri confini tra il Nizzardo e l’estrema Liguria occidentale rimasta al Regno di Sardegna avrebbero dovuto tenere adeguatamente conto «della configurazione delle montagne e delle necessità di difesa», ma nella realtà dei fatti lo spartiacque venne spostato a ponente con grande vantaggio per la Francia, la Val Roia venne tagliata praticamente a metà e, in conseguenza della rettifica amministrativa del 1808, il confine di Stato lungo il mare seguì il corso del torrente San Luigi, lasciando Garavano a Mentone, mentre il Principato di Monaco si salvava dallo spartimento della zona intemelia conservando la sua tradizionale indipendenza. Ratificata la cessione di Nizza alla Francia, il 14 luglio 1860 venne quindi emanato il decreto reale n. 4176 firmato da Vittorio Emanuele II, conseguente all’approvazione della legge dell’11 giugno 1860 con la quale era stato ratificato il trattato di Torino, nonché alla legge dell’8 luglio 1860, con cui il governo sardo era stato autorizzato a provvedere con appositi decreti reali al riordinamento del pubblico servizio nella parte della già Divisione di Nizza rimasta allo Stato. Il decreto del 14 luglio disponeva che i mandamenti e i comuni già facenti parte della Divisione di Nizza e non compresi nel trattato di cessione del 24 marzo 1860, avrebbero dovuto formare in via provvisoria una nuova provincia con capoluogo la città di Porto Maurizio, mentre i comuni appartenenti al mandamento di Tenda, tra i quali Briga e altri centri montani minori, venivano aggregati alla provincia di Cuneo. L’istituzione della nuova provincia non rispondeva tuttavia soltanto ad incoerenti e artificiali criteri operativi di natura politica o legislativa, ma nasceva invece dalla necessità concreta di distribuire organicamente il notevole numero dei comuni rimasti staccati dal capoluogo di Nizza.

Non mancavano peraltro neanche pesanti contraddizioni come l’assegnazione alla provincia di Cuneo dei centri di Briga e Tenda, da sempre orbitanti su Ventimiglia, la cancellazione del patrimonio storico ed economico delle antiche contee di Ventimiglia e Albenga a causa dell’improvvida cessione di gran parte della Val Roia e di parte di quella dell’Arroscia, mentre ancora una volta la città intemelia era fortemente penalizzata, nella storica rivalità tra Oneglia e Porto Maurizio prevaleva quest’ultima e Sanremo, invece, vedeva confermato il suo ruolo di città in rapida ascesa sociale ed economica. La neocostituita provincia si estendeva su un territorio vasto 1182 chilometri quadrati, poi scesi a 1155 in seguito alla cessione alla Francia, nel 1947, delle frazioni di Olivetta San Michele Piena e Libri e di altre terre della Val Roia insieme alle zone adiacenti allo spartiacque da Testa d’Alpe al Saccarello appartenute ai comuni di Pigna e Triora (al quale veniva però aggregata l’ex frazione di Briga Realdo), ed era suddivisa amministrativamente nei due circondari di Porto Maurizio e Sanremo, a loro volta ripartiti in quattordici mandamenti; la formazione del nuovo ente territoriale fu inoltre notevolmente facilitata dall’omogeneità della popolazione, unita da origini, usanze e dialetti comuni a tutto l’estremo Ponente, dove la nuova provincia, che contava ben 107 comuni corrispondenti all’incirca ai 67 comuni attuali più una quarantina di frazioni, svolgeva anche l’importante e delicata funzione di provincia di frontiera. Anche la scelta di Porto Maurizio, anziché Oneglia, quale sede del capoluogo della provincia, fu probabilmente dettata da considerazioni di natura logistica, in quanto la quasi totale assenza di mezzi di comunicazione adeguati fece forse ritenere agli amministratori locali dell’epoca che il centro di Porto Maurizio fosse più accessibile, sia pure per pochi chilometri, agli abitanti dei comuni della zona più occidentale della provincia, anche se parecchi di suddetti comuni dipendevano dalla sottoprefettura di Sanremo, che rimase in vigore anche dopo la cessione di Nizza e fino al 1926, quando venne definitivamente soppressa insieme a tutte le altre sottoprefetture del Regno con un regio decreto emanato il 21 ottobre di quell’anno, nell’ambito della riorganizzazione amministrativa dello Stato attuata dal regime fascista. La stessa designazione di Porto Maurizio a capoluogo venne comunque favorita dall’intensa attività promozionale svolta presso il governo di Torino da parte dell’avvocato Giuseppe Airenti, deputato del collegio di Porto Maurizio al Parlamento Subalpino, dal conte Tomaso Littardi, già tesoriere generale di dipartimento in Francia e cavaliere della Legione d’Onore e dal sindaco della città Domenico Acquarone. In questa febbrile attività si distinse in particolare l’onorevole Airenti, che era tra l’altro benvisto da molti ministri sabaudi, mentre il conte Littardi era molto amico di Cavour e il sindaco Acquarone si prodigò anch’egli con tutti i mezzi a favore della scelta a capoluogo della sua città attraverso la presentazione di numerosi memoriali, che mettevano in buona luce Porto Maurizio, svolgendo nello stesso tempo un’intensa propaganda per mettere in buona luce il suo comune presso gli ambienti governativi e la ristretta cerchia degli amici e collaboratori di Cavour. L’importante avvenimento costituito dalla scelta di Porto Maurizio a capoluogo della neonata provincia venne festeggiato la sera stessa del 14 luglio 1860 con un imponente corteo, che sfilò sotto le case del sindaco e del conte Littardi, seguito dall’installazione di fastose illuminazioni la sera del primo agosto, quando si riunì anche per la prima volta nel palazzo comunale il Consiglio provinciale presieduto dal vicegovernatore della provincia Giuseppe Pirinoli.

L’amministrazione della nuova provincia era ancora regolata dalla legge comunale e provinciale del 23 ottobre 1859, nella cui applicazione era invalso il principio di una organizzazione amministrativa accentrata sul tipo di quella francese, che prevedeva la suddivisione del territorio nazionale in province, nella cui giurisdizione il potere esecutivo veniva affidato ad un governatore, mentre l’organo deliberante e rappresentativo era costituito dal Consiglio provinciale, che aveva un numero variabile di componenti, a seconda della popolazione, tra venti e sessanta consiglieri, eletti nelle circoscrizioni mandamentali. L’amministrazione provinciale era però governata da una Deputazione provinciale, in funzione di organo esecutivo nominato in seno al Consiglio e presieduto dal governatore. Nella nostra provincia il Consiglio era composto nel 1860 da venti consiglieri, mentre la Deputazione provinciale era formata da sei membri di cui due supplenti, oltre al governatore in qualità di presidente dell’assise. Il Consiglio provvedeva inoltre alla stipulazione dei contratti di acquisto e all’accettazione dei lasciti, all’amministrazione del patrimonio, all’istruzione secondaria e tecnica, agli istituti che svolgevano mansioni a beneficio della provincia, alle strade provinciali e ai lavori ai corsi d’acqua posti a carico dell’ente, ai sussidi in favore dei comuni, alla formazione del bilancio, all’esame del conto di cassa del tesoriere, all’utilizzazione dei fondi disponibili, a contrarre prestiti, ad emanare regolamenti per le istituzioni dipendenti dalla provincia, alla nomina degli impiegati, alla determinazione del tempo di apertura e chiusura della caccia e della pesca e alla conservazione degli edifici di proprietà della provincia. La Deputazione, oltre ad esercitare il potere esecutivo, aveva anche la funzione di rappresentare il Consiglio nell’intervallo delle sue riunioni, provvedere all’esecuzione delle deliberazioni del Consiglio, predisporre il bilancio delle entrate e delle uscite, stipulare i contratti, deliberare sulle erogazioni delle somme stanziate in bilancio per le spese impreviste, compiere gli studi preparatori degli affari da sottoporre alle deliberazioni del Consiglio, rendere conto a quest’ultimo della sua amministrazione ogni anno ed esprimere pareri al prefetto, nel caso ne fossero stati da questo richiesti. Tale organo svolgeva infine mansioni tutorie per alcune deliberazioni dei comuni, che dovevano essere sottoposte ad esso per la loro approvazione, mentre le funzioni di tutela sulla provincia erano esercitate congiuntamente per una parte direttamente dal re e per l’altra dal ministro dell’Interno. Il prefetto, invece, in qualità di presidente della Deputazione rappresentava la provincia in giudizio, provvedeva in merito alle contravvenzioni relative ai regolamenti provinciali, firmava gli atti che interessavano l’amministrazione provinciale, sorvegliava gli uffici e gli impiegati provinciali e apriva le sedute del Consiglio, al quale aveva la facoltà di intervenire come commissario del governo avanzando anche eventuali osservazioni senza tuttavia poter esprimere un voto deliberativo.

Come accennato sopra, l’avvocato Pirinoli, già vicegovernatore dal 18 luglio 1860 al 16 novembre 1861, fu il primo ad assumere la carica di governatore della provincia, dopo aver ricoperto l’incarico di commissario straordinario di Nizza, proprio nei giorni della cessione della città e del suo circondario alla Francia. Il 17 novembre del ’61 Pirinoli assunse quindi la carica di prefetto, che avrebbe mantenuto fino al 24 giugno 1865, tranne un breve periodo, dal 17 ottobre al 15 novembre 1864, quando la prefettura fu retta dal dottor Emilio Cler. A ricoprire per primo la carica di presidente del Consiglio provinciale venne invece eletto l’onorevole Airenti, il quale - come si è già detto - si era attivamente adoperato per far designare la sua città a capoluogo della neocostituita provincia. Suoi principali collaboratori furono l’avvocato Giuseppe Ameglio, che venne eletto alla carica di vicepresidente, l’avvocato Giacomo Piana, che fu eletto segretario del presidente, e il dottor Lorenzo Lucifredi, che era il consigliere più giovane, eletto vicesegretario del Consiglio. Intanto la legge Rattazzi del 1859 veniva modificata da una nuova legge, emanata il 20 marzo 1865, che prevedeva, oltre alla sostituzione delle figure del governatore e del vicegovernatore con quelle del prefetto e del sottoprefetto già vigente dal 1861, l’assegnazione del governo delle province ad un Consiglio provinciale con poteri deliberativi, mentre le Deputazioni provinciali diventavano organi esecutivi e conservavano ancora funzioni tutorie per i comuni senza tuttavia chiarire completamente la divisione dei ruoli tra la provincia come ente autonomo e la provincia come circoscrizione amministrativa dello Stato. Nel frattempo, dopo alcuni anni di presidenza dell’onorevole Airenti, il 24 settembre 1866 venne eletto presidente del Consiglio provinciale il deputato e avvocato ventimigliese Giuseppe Biancheri, destinato a ricoprire con brevi intervalli il prestigioso incarico di presidente della Camera dei deputati tra il 1870 e il 1904, il quale mantenne la carica, con una breve interruzione, fino alla morte, avvenuta nel 1908. Nel quadro del particolare interessamento degli amministratori locali del tempo nei confronti del vitale problema del miglioramento e completamento del sistema delle comunicazioni stradali e ferroviarie della provincia, Biancheri aveva favorito nel 1862 l’ammodernamento della strada Ventimiglia-Cuneo, mentre nel 1873 si prodigava per il traforo del Colle di Tenda e sei anni dopo sovvenzionava la costruzione della linea ferroviaria lungo lo stesso percorso. Nel 1872 era stata inaugurata la ferrovia Genova-Ventimiglia, che avrebbe notevolmente incrementato il numero dei turisti nell’estrema Riviera di Ponente, dove Ventimiglia diventava sede di una stazione internazionale collegata con la vicina Francia e il Principato di Monaco. Dopo il rovinoso terremoto del febbraio 1887, che provocò numerose vittime soprattutto a Baiardo (220 morti e 60 feriti), a Diano Marina (190 morti e 102 feriti) a Bussana (53 morti e 27 feriti) e a Castellaro (38 morti e 65 feriti) per un totale - secondo i dati ufficiali contenuti nella Relazione della Commissione Reale - di 619 morti e 447 feriti in tutta la Provincia di Porto Maurizio, oltre a danni ingentissimi in vari centri della costa e dell’entroterra, la provincia vedeva la lenta ma inarrestabile ascesa della floricoltura con l’apertura dei primi mercati dei fiori a Ospedaletti, Ventimiglia e Sanremo, mentre si andava sempre più affermando il fenomeno del turismo aristocratico nelle principali località costiere, tra le quali anzitutto Sanremo, dove nel 1905 veniva inaugurato il Casinò, e si assisteva al decollo industriale di una città come Oneglia, dove sorsero numerosi mulini, oleifici e cantieri che avrebbero reso la città, nel volgere di pochi decenni, l’autentico motore propulsore del comparto industriale della provincia.

Pochi anni dopo l’organizzazione amministrativa delle province venne modificata da una serie di riforme, precedute da decenni di studi e progetti e varate infine dal governo Crispi, il quale, con una legge emanata il 30 dicembre 1888 istituiva la Giunta provinciale competente in materia amministrativa, alla quale nel 1890 sarebbe stata aggiunta analoga facoltà in sede giurisdizionale, mentre, con il testo unico della legge comunale e provinciale del 10 febbraio 1889, il prefetto cessava di essere il capo della Deputazione provinciale e organi istituzionali della provincia diventarono il Consiglio, la Deputazione e il presidente della Deputazione, il cui ufficio venne anche reso elettivo. Alla Deputazione veniva inoltre assegnata la facoltà di rappresentare il Consiglio nell’intervallo delle sue sessioni e di prepararne ed eseguirne le deliberazioni, oltre al potere di esercitare competenza delegata dal Consiglio e, in casi di particolare urgenza, anche sostituirsi ad esso, sempre però sotto la sua responsabilità. Dopo l’entrata in vigore della legge del 1888 i prefetti si limitarono quindi a partecipare soltanto all’apertura e alla chiusura delle sessioni del Consiglio provinciale in qualità di commissari del re, pronunciando ogni volta un breve discorso di circostanza e scambiando un saluto con il presidente, una consuetudine che sarebbe durata fino all’istituzione del regime rettorale, né sarebbe stata ripristinata nemmeno dal successivo ordinamento provinciale su base elettiva in quanto considerata puramente decorativa, anche se ancora oggi la legge non vieta formalmente al prefetto di intervenire al Consiglio senza tuttavia facoltà di voto deliberativo, ma con il potere di convocare l’assise in via straordinaria.

Frattanto la provincia si dava una propria decorosa residenza nel palazzo appositamente edificato nel 1896 in piazza Roma a Porto Maurizio, dove si sarebbero installati molti anni dopo l’Intendenza di Finanza e vari altri uffici finanziari, mentre, alla morte dell’onorevole Biancheri, il senatore Vincenzo Massabò assumeva la carica di presidente del Consiglio provinciale, coadiuvato, in qualità di vicepresidente dall’avvocato Giacomo Garaccioni. Nei primi anni del secolo cominciavano inoltre a diffondersi sempre più anche nel Ponente le idee socialiste, che avrebbero trovato un terreno particolarmente fertile per la loro crescita proprio a Oneglia, la quale, non a torto, venne poi indicata come la «culla del socialismo nella Liguria di Ponente», dove, già a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, l’ideale socialista si era diffuso in ampi strati della popolazione, tra cui soprattutto i ceti operai e mercantili, mentre numerosi esponenti socialisti cominciavano ad assumere responsabilità amministrative in vari comuni della provincia, tra i quali il primo fu quello di Sanremo, alla cui guida venne eletto, già nel 1896, il banchiere di area socialista Augusto Mombello; a Oneglia erano inoltre nati lo scrittore di ispirazione socialista Edmondo De Amicis e l’esponente massimalista Giacinto Menotti Serrati.

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