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Sanità | 17 aprile 2016, 07:00

Infermiere: istruzione per l'uso. Intervista alla dott.ssa Barbara Mangiacavalli

L’ Infermiere, una professione che negli ultimi anni è cambiata molto, si è evoluta lasciando da parte stereotipi, aprendo le porte al professionismo di alto livello

Infermiere: istruzione per l'uso. Intervista alla dott.ssa Barbara Mangiacavalli

L’ Infermiere, una professione che negli ultimi anni è cambiata molto, si è evoluta lasciando da parte stereotipi, aprendo le porte al professionismo di alto livello.

Giacché io sono prima di tutto un infermiere, vorrei che i miei lettori, approfondissero un po’ cosa sono, cosa faccio e cosa faranno gli infermieri negli anni a venire.

Ne parliamo con la PRESIDENTE NAZIONALE dei COLLEGI IPASVI (l’albo che ci rappresenta e raccoglie) Dott.ssa Barbara Mangiacavalli

 

Gent.ma Sig.ra Presidente,

con questa mia intervista vorrei  approfondire la figura dell’infermiere nel mondo di oggi, ed in particolare nella realtà italiana.

 

Lei è Presidente Nazionale dei Collegi Ipasvi : cosa sono e quando nascono?

 

I Collegi rappresentano l’espressione deontologico-professionale dell’attività dell’infermiere che tutelano e assistono. Nascono nel 1955, voluti da un decreto governativo dell’ottobre 1954. E voluti soprattutto da quelle operatrici della sanità consapevoli di essere preziose, ma che non avevano ancora ottenuto uno specifico riconoscimento professionale, perché il decreto del 1946 sulle professioni sanitarie si era limitato a ripristinare gli Ordini dei medici chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti e a istituire i Collegi delle ostetriche. 

 

Perché sono così importanti?

 

L'iscrizione all'Albo da parte del professionista comporta obblighi, doveri, osservanza di un codice deontologico e di disposizioni legislative, ma anche diritti e vantaggi. L'istituzione di un Collegio e, speriamo presto, di un ordine professionale e del relativo Albo è l'unico modo per tutelare l'attività dei professionisti che altrimenti potrebbero contare solo su forme di tutela sindacale del lavoro ma spesso non dei loro diritti. 
L'organizzazione in categorie professionali porta inoltre alla creazione di norme giuridiche e di codici deontologici appositamente studiati in base alle esigenze della professione e validi unicamente all'interno di essa. 

 

Tutti gli infermieri devono essere iscritti per poter svolgere la professione?

 

Certo. Contrariamente a quanto alcuni provano a sostenere, l’iscrizione ai Collegi è d’obbligo per tutti, siano essi liberi professionisti che lavoratori dipendenti. In realtà lo è sempre stata, ma a fugare ogni dubbio e riconfermare il principio è stato lo stesso ministero della Salute, organismo vigilante sulla professione, che in una sua intepretazione autentica, ha ricordato già nel 2009 che l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo professionale sancita dall'articolo 2 comma 3 della legge 43/2006, estesa anche ai pubblici dipendenti, è requisito essenziale e indispensabile per poter svolgere senza condizioni l'attività sanitaria sia come libero professionista. sia nell'ambito del rapporto di servizio in regime di lavoratore dipendente.

 

Qual è il percorso formativo degli infermieri?

 

Laurea triennale, laurea magistrale, master di primo e secondo livello, corsi di perfezionamento, dottorati di ricerca e così via. Lo stesso percorso di ogni professione intellettuale che si rispetti. E che vogliamo implementare grazie all’attività di collaborazione avviata dal Comitato centrale con Agenas sui percorsi formativi, di tipo gestionale e manageriale per gli infermieri. Ci sono poi le competenze avanzate.  Nuovi ruoli cioè, già individuati nelle aree specialistiche descritte nella bozza di accordo Stato-Regioni ancora non approvato ufficialmente, ma su cui tutti concordano. Si prendono a riferimento  le necessità del cittadino a cui spetta la vera leadership nell’assistenza e si disegna un percorso al termine del quale il “nuovo” professionista condivida alla pari con altre professionalità le scelte cliniche. Nel modello Ipasvi è prevista una figura di infermiere con perfezionamento clinico che si riferisce a un infermiere che ha seguito un corso di perfezionamento universitario che lo ha messo in grado di perfezionare le sue competenze “core” applicate a un'area tecnico operativa molto specifica. Poi c’è l’infermiere esperto clinico con master che si è formato con un master universitario di primo livello che lo ha messo in grado di approfondire le sue competenze declinandole in un settore particolare dell’assistenza infermieristica. E infine l’infermiere specialista clinico con laurea magistrale, formato con laurea magistrale in Scienze Infermieristiche con orientamento in una delle aree previste dall’accordo Stato Regioni. Questo infermiere è in grado di orientare, governare  sia i processi assistenziali tipici di una certa area clinica, sia le competenze professionali necessarie per realizzarli. 

   

Le competenze avanzate sono quelle che in questi mesi stanno generando numerosi conflitti, specie con la professione medica. Colpa solo del famoso comma 566?

 

No. Il comma 566 è di fatto una necessità che si è manifestata nel momento in cui la giustificazione per non far decollare gli atti di indirizzo Stato-Regioni sulle nuove competenze e, legati a questi, i nuovi ordinamenti di studi e le nuove possibilità di apertura contrattuale, è stata che non esisteva un presupposto, una base normativa che desse forza a quel tipo di percorso. Tutto qui. Direi che la vera novità sono gli atti complessi e specialistici di cui dicevamo prima.

 

Perché rimane sempre una sorta di “diffidenza” da parte delle figure mediche riguardo a questa professione?

 

Non abbiamo trovato diffidenza da parte dei medici quando, in occasione del XVII Congresso nazionale che si è svolto un anno fa, abbiamo presentato una ricerca Eures  da cui è emerso che nove medici su dieci sono soddisfatti del loro rapporto con le professioni sanitarie. E il 94,2% - anche di più quindi - lo è nei confronti proprio degli infermieri. Anzi, oltre i due terzi dei medici sono convinti che proprio la presenza dell’infermiere specialista sarà “molto” o “abbastanza utile ed efficace” in tutte le aree mediche in cui sarà impegnato. Il problema delle relazioni tra medici e infermieri, se c’è è a livello di dirigenza (primari soprattutto): in un quarto in media delle strutture non si affronta in genere la questione della collaborazione tra le diverse figure sanitarie, mentre il 4,2% la “tollera” pur non incentivandola, e un residuale 0,5% la ostacola.

Ma direi, e mi auguro, si tratta di un colpo di coda degli ultimi nostalgici del “vecchio stile”, è solo il muro di preoccupazione – mi auguro non di paura – che chi vede vacillare lo status quo ante ha, nei confronti di ciò che secondo lui lo fa vacillare. Un discorso di pochi, ma chiassosi professionisti che gridano al lupo al lupo, non vedendo però quella crescita professionale che non riguarda solo la nostra professione, ma che, come hanno sottolineato e codificato nelle loro analisi a più riprese illustri centri di ricerca e Università, coinvolge tutte le professionalità sanitarie che orbitano attorno al paziente.   

 

Rispetto agli infermieri “in servizio” quanto sarebbe il fabbisogno infermieristico nelle strutture pubbliche italiane secondo una stima approssimativa?

 

La stima l’abbiamo fatta abbastanza precisa. Diciamo che se si dovesse coprire la carenza generata dal nuovo orario di lavoro europeo che prevede riposi obbligatori di 11 ore, di infermieri in più ne servirebbero quasi 18mila. Ma ci sono anche altri parametri per calcolare il fabbisogno. Tra questi c’è il calcolo delle unità a tempo pieno rispetto agli attuali infermieri in part time, c’è l’aumento della domanda legato alle patologie croniche e alla non autosufficienza, c’è l’invecchiamento della popolazione che anche a livello di riparto del fondo sanitario nazionale genera diversi livelli di pesatura della popolazione. Stime possibili ne abbiamo fatte graduando i vari indicatori. E si va, al di là delle necessità legate all’orario di lavoro che sono davvero quelle minime, da un fabbisogno di circa 47,ila unità considerandone 30mila per effetto della conta per unità a tempo pieno e circa 17mila per effetto dell’aumento della domanda dall’attuale 6 al 6,3 per mille. E via via, considerando l’aumento della domanda rispetto a tutti i fattori che abbiamo visto, si raggiungono le 60mila unità con una domanda al 6,5 per mille e le 90mila unità con la domanda al 7 per mille. Parametro quest’ultimo comunque ben al di sotto del 9 per mille medio dei paesi Ocse, ma in questo senso si devono considerare anche i diversi sistemi sanitari e la diversa organizzazione dei modelli assistenziali.  

 

Quando, secondo lei,  l’infermiere in Italia farà veramente un salto di qualità, vedendo riconosciuti diritti oggi negati?

 

Il salto di qualità c’è già, è già stato fatto, come sembra evidente da tutto quello che abbiamo detto finora. E siamo già pronti, come spiegato, a farne altri.  Per il riconoscimento dei diritti ancora negati, come li definisce lei, ci stiamo attrezzando e questo Comitato centrale vorrebbe risolvere il problema entro il suo triennio di vigenza. Tempi brevi quindi. Ma se analizza ciò ci cui abbiamo parlato finora, vedrà che in realtà più che di diritti negati si tratta di un torpore innovativo dovuto alle preoccupazioni di altri, che trova sponda in una burocrazia purtroppo ancora troppo marcata per colpa della quale modelli ovvi rispetto agli attuali bisogni dei cittadini e legati anche al riconoscimento dei diritti dei professionisti, rimangono in stand by aspettando norme, accordi, via libera che purtroppo tardano sempre ad arrivare.  

 

Personalmente ho pubblicato molto, anche libri: perché non c’è quasi mai la stessa risonanza  quando esce un autore infermieristico rispetto ad altre figure?  Si nota anche ai Congressi, c’è una sproporzione enorme nei comitati scientifici.

 

E’ un po’ come con un iceberg: la punta è la parte più piccola, ma quella che si vede in superficie, il resto è la vera massa del blocco di ghiaccio, ma resta sommersa. Però ciò che alla fine è valutato per capire la forza di impatto che ha è proprio la massa complessiva. Ecco: lei finora ha scontato il fatto che quella punta dell’iceberg, da sempre emersa, cerca di “tenere nascosta” la sua base. Cosa che è evidente come si stia gradatamente superando. Diciamo che un passo per volta la figura dell’infermiere sta “emergendo” sempre di più e si sta affermando e sta diventando evidente nel suo ruolo e nella sua forza di impatto nei confronti dell’assistenza. Tutto subito non si può avere, ma ormai l’emersione è avviata e non si potrà fermare. Ad esempio il ministero della Salute sta formalizzando un tavolo infermieristico all’interno del dicastero, l’Agenas ha sottoscritto con Ipasvi un protocollo per la formazione e così via.

 

Infermiere e paziente, Infermiere e cittadino : un binomio indissolubile . Che ruolo ha l’infermiere rispetto a queste figure? Cosa possono chiedere i cittadini quando si rivolgono a noi?

 

L’infermiere ha un ruolo di assistenza continua e anche di educazione alla salute, visti i risultati di recenti ricerche che hanno ad esempio messo in evidenza come il nostro sia un popolo che sta tutto sommato bene, ma con pessimi stili di vita.

E il cittadino all’infermiere può chiedere di “prendersi cura” di lui. Soprattutto nei casi di maggiore fragilità. L’invecchiamento della popolazione è un fatto ormai evidente e tutti sanno che gli anziani saranno presto la parte preponderante dei cittadini. Ma l’età anziana se da un lato aumenta proprio grazie ai progressi della scienza, dall’altro presenta una serie di ostacoli che si moltiplicano con gli anni e a cui la scienza, o meglio l’assistenza dovrà rispondere: le malattie croniche, la presenza nello stesso individuo di più patologie, fino alla disabilità e alla non autosufficienza che oltre a cure e assistenza richiedono attenzione anche per il mantenimento della dignità della persona.

Al cittadino non basta più essere curato, ma ha bisogno di chi si prende cura di lui, appunto. Il paziente nella sanità deve trovare cure, è vero, ma anche la risposta a tutti i suoi bisogni, modificati con l’aumento dell’età, della non autosufficienza, delle cronicità.

Per dare una dimensione del rilievo che ha la figura infermieristica,  basta ricordare alcuni risultati della ricerca che il Censis ha presentato al nostro ultimo  congresso nazionale: 8,7 milioni di italiani chiedono sul territorio prestazioni infermieristiche per le quali hanno speso in un anno oltre 2,7 miliardi. Questo perché i bisogni di salute una volta usciti dalle mura degli ospedali divengono paradossalmente maggiori, viste le difficoltà che spesso si incontrano per far fronte a volte anche alle minime necessità.

Allora dobbiamo modificare il sistema, fare prossimità, andare vicino ai bisogni delle persone. E per farlo, ripeto, occorre valorizzare gli infermieri, che sono persone formate professionalmente per stare vicino a questi bisogni. Gli stessi cittadini lo chiedono.

 

 

Ringraziamo la dott.ssa Mangiacavalli, sperando di aver fatto un po di chiarezza nel mondo infermieristico, vera chiave di volta nelle strutture sanitarie.

 

Per scrivermi:

 

salute@sanremonews.it

 

 

Disclaimer:

Tutti gli articoli redatti dal sottoscritto, siavvalgono dei maggiori siti e documenti  basati sulle evidenze, ove necessario verrà menzionata la fonte della notizia:  essi NON sostituiscono la catena sanitaria di controllo e diagnosi di tutte le figure preposte , come ad esempio i medici . Solo un medico può effettuare la diagnosi ed approntare un piano di cura.

Immagini, loghi o contenuti sono proprietari di chi li ha creati, chi viene ritratto nella foto ha dato il suo consenso implicito alla pubblicazione.

Compito dell’infermiere è la somministrazione della cura, il controllo dei sintomi e la cultura della educazione sanitaria.

 

Roberto Pioppo

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