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| 10 aprile 2016, 07:35

La vera storia di Oscar Rafone: I tuffi dalla Madonnina delle Calandre (cap.7)

Pubblichiamo ogni domenica il libro di Enzo Iorio, suddiviso per capitoli, per offrire a tutti un momento culturale nella 'giornata on line'

La vera storia di Oscar Rafone: I tuffi dalla Madonnina delle Calandre (cap.7)

Incontrai i miei ex compagni di classe. Loro erano tutti in terza media, mentre io ero rimasto in prima. Però eravamo ancora amici.

— Ehi Oscar, vieni con noi, stiamo andando alla Madonnina.

— Non posso, ragazzi, stasera arriva mia madre e voglio preparare io da mangiare, ma sono indietro, devo fare ancora la spesa.

— Dai, non ci stiamo molto, per le cinque saremo già di ritorno — insistettero.

Non chiesi che ore fossero, però pensai che tornando per le cinque avrei avuto ancora tutto il tempo per fare un ottimo lavoro.

— Ok, vengo, ma voglio essere il primo a saltare!

 

La Madonnina era un punto della scogliera da dove i duri facevano i tuffi. Otto metri di altezza. Ci si arrivava per un sentiero stretto e in salita che costeggiava una parete a picco sul mare. Cominciammo a salire.

Faceva caldo e il mare sotto di noi era di un blu scuro e misterioso, ma calmo come l'olio. La giornata era splendida. Decine di gabbiani volteggiavano sopra di noi e facevano venire voglia di imitarli: tuffarsi da lassù era un po' come volare. Arrivammo alla Madonnina. Era stata messa lì molti anni prima, quando un ragazzo tedesco si era sfracellato sugli scogli. C'erano sempre dei fiori secchi ai suoi piedi. Ma stavolta c'era una signora in ginocchio che stava mettendo delle rose fresche. Era di spalle e aveva un foulard sulla testa. Si voltò e rimasi sorpreso perché quella signora la conoscevo bene anche se era molto più vecchia di come me la ricordavo. Era mia madre.

Mi disse qualcosa ma non capii. I miei compagni dietro di me stavano facendo un gran casino, urlavano, si spingevano e si tiravano verso il precipizio. Stavano scherzando. Ricevetti uno spintone anch'io. Persi l'equilibrio e caddi all'indietro. Mi sembrava di galleggiare nel vuoto come quando facevo il morto sull'acqua.

Vedevo lassù in alto i volti dei miei amici affacciati sul precipizio. Ridevano. Si era sporta anche mia madre. Rideva pure lei.

Toccai il mare di spalle. L'impatto fu forte ma non quanto mi aspettassi. Ebbi l'impressione che l'acqua si aprisse o che fosse morbida. Scivolai verso il fondo e fu come se continuassi a cadere. Non vedevo più né i miei amici né mia madre ma solo un azzurro intenso che diventava via via più scuro man mano che scendevo. La cosa più strana è che stavo respirando. Non avevo bisogno di trattenere il respiro. L'aria mi entrava e usciva dalla bocca e dal naso normalmente, come se riuscissi a  filtrare l'ossigeno dall'acqua del mare. Questo mi faceva sentire leggero e perfettamente a mio agio tanto che pensai di mettermi a esplorare il fondale. Avevo visto in tv che certi santoni indiani riescono a vivere settimane sotto terra e sott'acqua in seguito a lunghi esercizi di meditazione e pensai che per qualche strano motivo avevo acquistato anche io quella capacità. Cercai di raddrizzarmi, ma non riuscivo a farlo. Mi sembrava di essere bloccato. Mi sforzai, ma improvvisamente mi mancava il fiato. Annaspavo, cercando di fermare la lenta caduta che mi stava portando sempre più giù. Più cercavo di muovermi più mi mancava l'aria nei polmoni e qualcosa mi impediva di aprire il naso e la bocca. Avvertivo una sensazione di strozzamento, come se una corda mi si stesse stringendo attorno alla gola.

La stretta diventava sempre più forte. Stavo soffocando. Urlai, ma la voce non mi usciva. Gorgogliavo. Stavo morendo...

Mi svegliai.

 

Enzo Iorio

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