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Sanità | 26 marzo 2016, 08:42

Roberto Ravera, un medico, un uomo in Sierra Leone

Intervista al Dottor Ravera Roberto, noto psicologo, nonché ambasciatore di pace e cura nelle terre martoriate della Sierra Leone, in Africa

Roberto Ravera, un medico, un uomo in Sierra Leone

Com’è ora la situazione socio  politica in Sierra leone?

La Sierra Leone è un paese di cinque milioni di abitanti e si trova nel West Africa, per intenderci sulla costa Atlantica e confina con la Guinea Conakry e la Liberia. Negli anni novanta si è scatenata una terribile guerra civile a causa del forte interesse che il famigerato Revolutionary United Front (RUF) aveva mostrato verso le miniere di diamanti nel sud della Sierra Leone. Esistevano forti interessi internazionali nel mettere le mani su quelle ricchezze, come è stato denunciato dal famoso film Blood Diamond di Edward Zwick e con Leonardo Di Caprio tra i protagonisti. Dopo la fine della guerra avvenuta nel 2002 vi è stato un forte controllo da parte dell’ONU per pianificare un lento passaggio ad una democrazia costituzionale. Purtroppo le ricchezze del paese (in primis diamanti, oro, ferro ma anche le risorse ittiche e agricole sono importanti) sono mal gestite e nelle mani di multinazionali. Molte di queste risorse finanziarie non riescono a dare un contributo allo sviluppo reale del paese e, ancora oggi, sono forti le disparità sociali tra i ricchi e la moltitudine di poveri che vivono con un salario medio di un euro al giorno. Inoltre, come molti sapranno, l’epidemia di Ebola degli ultimi due anni ha dato un terribile colpo alla Sierra Leone e ad una popolazione già abbastanza stremata da una vita quotidiana non facile. In ultimo, vorrei ricordare che in Sierra Leone il 50 per cento della popolazione è musulmana e convive in modo armonioso con la minoranza cristiana. Questo potrebbe essere un modello di riferimento per tutta l’Africa – e non solo – per esemplificare come la religione possa non essere fonte di conflitto. La mia speranza è che, come avvenuto in alcune nazioni non distanti dalla Sierra Leone, non vi possa essere in futuro infiltrazioni di movimenti islamici estremisti. Nel prossimo anno vi saranno le elezioni per nominare il nuovo Presidente della Repubblica e questo potrebbe coincidere sia con una certa instabilità e forse, questa è la mia speranza, con una forma di rinnovamento e ricambio di una classe dirigente non sempre all’altezza. 

 

Da quanti anni opera in Africa e come è nata questa sua mission?

Ho avuto la grande fortuna di conoscere un uomo straordinario e poco conosciuto: Padre Bepi Berton, un missionario italiano in Sierra Leone da molti decenni. Mi ha invitato dopo la guerra a lavorare per il suo progetto di recupero dei tanti bambini soldato che facevano riferimento a lui. Padre Berton è stato un eroe del nostro tempo, andando a cercare i bambini durante la guerra, affrontando ogni genere di pericolo, solo per portare a casa qualche piccolo combattente. Sono stati migliaia quelli passati per le sue mani e, come si può immaginare, molti di loro soffrivano di disturbi mentali. Per questa ragione ho iniziato a lavorare con lui e con questi bambini. Ho utilizzato tutte le mie ferie per andare in Sierra Leone due volte l’anno e cercando, almeno inizialmente, di lavorare per un progetto di salute mentale sugli ex bambini soldato. Solo con il passare degli anni ho scoperto che la Sierra Leone mi aveva totalmente conquistato! Oramai sentivo il bisogno di estendere il mio lavoro ai tanti bisogni ed emergenze che vedevo a Freetown, la capitale della Sierra Leone, un enorme agglomerato urbano povero di ogni infrastruttura, dove vivono quasi due milioni di persone. Ho iniziato a formare una equipe di operatori locali e ad occuparmi di carceri minorili, di bambini di strada e a costruire ambulatori medici dove offrire assistenza sanitaria a chi ne aveva bisogno. Ma il passo importante è stato di costruire una comunità terapeutica dove assistere i casi più disperati: bambini abusati, malati, abbandonati, con disabilità e per cui erano necessarie cure a aiuto specifico.

 

Lei è fondatore del Ravera Children Rehabilitation Centre , ce ne può parlare?

Vorrei precisare che la scelta di mettere il mio nome è stata fortemente voluta da Padre Berton. Egli diceva che solo così tutti avrebbero capito di che cosa ci occupavamo e che lo scopo delle nostre attività era quello di lavorare sulla salute mentale e psicologica dei bambini e dei ragazzi. RCRC è una Organizzazione Non Governativa, regolarmente registrata presso il Governo della Sierra Leone, che oggi ha oltre 25 dipendenti, tutti locali e di varie professioni. Noi crediamo nella cooperazione sostenibile, in grado cioè di fornire strumenti economici e formativi affinché, nel tempo, si realizzi una certa forma di autonomia. Non voglio far credere che tutto questo non sia esente da difficoltà e momenti di sconforto; in realtà si devono affrontare molte emergenze e difficoltà, ma devo confessare che i risultati sono sorprendenti. Sostanzialmente ho sempre creduto che lavorare con bambini affetti da trauma, neglect, abusi e maltrattamenti o da disabilità e storie penose o ragazzi di strada, giovani prostitute, richieda il più delle volte un intervento assistenziale ad alta intensità. Soprattutto nelle prime fasi, quando arrivano a noi inviati dai funzionari del ministero, dalla polizia o da ospedali, sono in condizioni molto difficili. Per questo il nostro centro, che si trova a Lakka a circa una decina di chilometri da Freetown, offre loro un accoglienza e un’assistenza di alta qualità e intensità. In questa prima fase, dove il lavoro è integrato da varie professioni, si gettano le premesse per il futuro lavoro di reinserimento sociale. Dopo i nostri assistenti sociali si occupano di trovare una famiglia locale affidataria idonea dove inserire il bambino; noi ci occupiamo di aiutare e sostenere questa famiglia a patto che sia accudente e amorevole con esso. Nelle carceri minorili siamo presenti per fornire tutti i tipi di assistenza e al tempo stesso garantire dei progetti di reinserimento sociale. Un ultimo aspetto riguarda l’aiuto che abbiamo dato e diamo ai sopravvissuti di Ebola. Molti di costoro hanno perso la famiglia e hanno vissuto esperienze terribili.  

 

E’ anche  Presidente di FHM ITALIA Onlus ,  di cosa si occupa?

La nostra associazione italiana si chiama così in memoria di Padre Berton, che aveva fondato in  Sierra Leone una organizzazione che si chiamava Family Homes Movement, progetto di affido famiglia, con cui aiutava tanti bambini e ragazzi vittime della guerra. FHM Italia Onlus è un’associazione che si occupa di promuovere e finanziare le attività in Sierra Leone di RCRC. Ma un aspetto importante che abbiamo sempre più rivalutato è quello della ricerca e della formazione nell’ambito della salute mentale e dei trattamenti psicologici in paesi in via di sviluppo. Purtroppo, per effetto delle credenze religiose animiste, troppo spesso i bambini o le persone affette da disturbi psicologici e mentali, subiscono discriminazioni in quanto ritenuti sotto l’effetto di magie o demoni. Ho visto molte volte in questi anni come, persino le famiglie stesse, faticano a riconoscere il significato della sofferenza psicologica dei piccoli. Anche in Occidente è da non molto che si è riconosciuto che le sofferenze e i traumi nei bambini possono essere una gravissima interferenza alla loro crescita psicologica ed emotiva. Un paese come la Sierra Leone, dove è normale vedere bambini piccoli che si guadagnano da vivere spaccando pietre nelle cave, è ancora oggi vittima di un retaggio culturale che non vede l’infanzia come un momento della vita che deve essere protetto. Ho visto diverso tempo fa come una bambina, vittima di abusi sessuali da parte di adulti, sia stata cacciata dal villaggio in quanto screditava uomini adulti la cui parola non poteva di certo essere messa in discussione. Per questo dobbiamo investire risorse nella formazione e nella ricerca. Con il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, con cui collaboro da molti anni, abbiamo fatto molti studi, pubblicati su riviste scientifiche internazionali, per dimostrare come gli eventi traumatici possano incidere sulla biologia e sul funzionamento psicologico futuro del bambino. Queste evidenze scientifiche ci servono per aprire nuovi scenari e dibattiti non solo in Sierra Leone, ma in molte altri parti dell’Africa. Recentemente siamo stati in Angola per vedere di aprire un altro progetto simile a Sumbe a circa tra ore dalla capitale Luanda. Stiamo lavorando ad altri progetti, ma tutto questo richiede un grande sostegno economico e per questa ragione cerco di girare letteralmente il mondo per trovare finanziamenti. 

 

Personalmente Lei come ha vissuto le tragedie che vede ogni volta che si reca in Africa?

Penso che sia difficile dare un idea di quello che si vede stando in luoghi dove la disperazione è così frequente. Eppure vedo che c’è un Africa che cresce e crescerà sempre di più. Sembra assurdo, ma in Sierra Leone più della metà della popolazione ha un telefonino. Molti giovani che incontro poi mi cercano su Facebook o mi scrivono su WhatsApp! Vorrei dire che rispetto a come l’ho vista dieci anni fa, oggi sono cambiate molte cose e molte in meglio. I problemi sono fondamentalmente due e entrambi molto complessi. Il primo riguarda le emergenze ed Ebola ne è stato un esempio. Questi paesi hanno un apparato sociale fragile e il più delle volte sostenuto dalle organizzazioni internazionali. In caso di emergenze, come Ebola, il colera o gli alluvioni, è come se il paese subisse una terribile scossa a cui non sa reagire. Per impreparazione, per mancanza di mezzi e anche per un contesto antropologico in cui la modernità è spesso una facciata. Auto, telefoni e tutto il resto sono accelerazioni e una specie di iperbole che però non hanno una loro base strutturale. Il tribalismo, il pregiudizio, la corruzione e la superstizione spesso giocano ancora un grande ruolo in queste società. Il secondo problema riguarda la disparità sociale. E’ inutile negare che chi è ricco e ha potere ne ha sempre di più e, al contrario, la grande moltitudine sempre di meno. Ritengo che questa disparità sia e sarà sempre più all’origine di molti mali. La gente non scappa prevalentemente dalla fame, ma dal fatto che c’è un ingiustizia diffusa, che la sanità è a pagamento e di scarsa qualità e che bisogna pagare per mandare i figli in scuole dove i bambini sono in sessanta per classe. Di fronte a questo, chi sogna e desidera un futuro migliore per i propri figli, cerca di andarsene e di espatriare, con un ulteriore grave danno per il paese. Pensare che i giovani laureati in medicina o in scienze infermieristiche cerchino di andare in Ghana o in occidente per cercare lavoro è un problema serio per la Sierra Leone. Personalmente mi rendo conto di fare una piccola goccia per un mare così grande, ma l’esperienza umana e professionale che ho vissuto in questi anni è impagabile e mi ripaga di tutte le fatiche.

 

Oltre ad altre figure professionali che la affiancano, è importante il suo ruolo di psicologo?

Ritengo che la psicologia sia una disciplina importante sempre più nel futuro prossimo. L’incidenza di problematiche mentali e psicologiche è in costante aumento in tutto il mondo, al punto che l’OMS stima che la patologia psichiatrica sarà una delle prime cause di sofferenza nel mondo nei prossimi decenni. E’ vero che la cultura psicologica ha in una certa misura permesso di riconoscere il “male della mente” e dare ad esso una spiegazione e una cura. In Sierra Leone utilizzare strumenti e tecniche per curare il Post Traumatic Stress Disorder, un disturbo mentale severo che colpisce le persone vittime di trauma, è diventata una grande risorsa. Agli inizi della mia esperienza in Sierra Leone le persone non parlavano mai di dolore psicologico. Il corpo è sempre stato il mediatore della relazione. Dare un aiuto fisico e medico costituiva il primo passaggio. Per questo abbiamo aperto degli ambulatori negli slum più terribili come Kroobay o Goderich: in questo modo eravamo presenti per dare assistenza medica gratuita a 50/60 persone al giorno, ma allo stesso tempo i nostri assistenti sociali individuavano le situazioni di grave disagio dei bambini. Con il tempo siamo adesso riconosciuti come coloro che lavorano nel campo della salute mentale. Ma c’è voluto molto tempo per fare questo lavoro culturale e solo ora si vedono i frutti di tutto ciò. Ora siamo parte del Mental Health  Committee della Sierra Leone insieme ad altre importanti organizzazioni di primo piano a livello internazionale.

 

Ha mai avuto paura?

Certo, mi è capitato molte volte. Talvolta di ciò che si vedeva e altri momenti di ciò che non era visibile, come nel caso di Ebola. Devo dire che reagisco molto bene a molte situazioni, mentre patisco molto nel vedere la violenza. Tutte le volte che mi è capitato, mi ha lasciato molto dolore dentro. Non c’è niente di peggio che vedere la vittima che diventa impotente, quello sguardo spaventato che ruota alla ricerca di aiuto e tu sei lì e non puoi fare nulla. Ho visto persone picchiate venire a cercare aiuto da noi e ho capito che le donne sono coloro che patiscono più di chiunque altro la violenza.

 

 

Ci può raccontare un aneddoto?

Sono tantissimi i fatti che potrei raccontare. Dagli sguardi di coloro che erano chiusi in strutture di isolamento per verificare se fossero affetti da Ebola, ai racconti dei bambini soldato e alle storie che sento da parte dei ragazzi del carcere minorile. Ma una cosa che non dimentico è lo sguardo di una madre mentre mi aspettava nel nostro centro. Teneva il suo bambino piccolo in braccio e doveva essere seduta su quella sedia da ore, almeno così mi dissero i miei operatori. Quando la raggiungo, mi guarda e non dice nulla. Vedo il suo bambino e scorgo che dall’occhio sinistro fuoriesce una grossa escrescenza. Capisco, avendone visti altri casi, che si tratta di un tumore difficilmente curabile in Sierra Leone. Siamo rimasti a guardarci a lungo con questa donna. Un operatore che aveva parlato con lei mi ha riferito che nessun ospedale della Sierra Leone ha voluto farsi carico del suo bambino e le hanno detto esplicitamente che non c’era nulla da fare. Ho ancora oggi davanti a me il suo viso e quello del bambino. Direi che il senso di impotenza che se ne ricava è drammatico, ma al tempo stesso mi riporta alla mia vera dimensione di “uomo in mezzo agli altri uomini” e al filo invisibile che ci lega tutti e che dovrebbe costituire la base della solidarietà. 

 

Come concilia famiglia e impegni così importanti?

Con il tempo anche la mia famiglia si è abituata a questi miei viaggi. Mi consola sapere che siamo in tanti a vivere queste esperienze. Conosco molte persone che hanno impegni importanti in molti paesi in via di sviluppo e tante belle persone. Mi sento di dire che il futuro del mondo si regge su coloro che anche a Sanremo danno un aiuto ai malati e ai senza tetto e che c’è spazio per tutte le persone di buona volontà. Nel mio specifico devo dire che aspetto oramai da anni che la politica si accorga di noi. Ancora oggi sono costretto ad usare le mie ferie per andare in Sierra Leone. Se dobbiamo “aiutarli a casa loro”, soprattutto quando si esportano modelli sanitari importanti e strutturati, come nel nostro caso, si dovrebbero contemplare forme di permessi o autorizzazioni per chi lavora come me e come tanti altri nel sistema sanitario nazionale. Teniamo conto che non solo operiamo in contesti difficili portando la nostra esperienza, ma la nostra stessa professionalità ne viene arricchita in un indubbio circolo virtuoso. Allora perché non favorire in modo istituzionale queste esperienze? 

 

Come possiamo aiutare la Sua associazione?

Per chi ha piacere di conoscere chi siamo e cosa facciamo potete vedere il nostro sito www.fhmitalia.org oppure seguire il profilo facebook di FHM Italia Onlus e di Ravera Children Rehabilitation Centre (RCRC). Tenete conto che tutto è in grande cambiamento e che non riusciamo ad aggiornare il sito tanto velocemente rispetto alla realtà. Ma credo che in base a queste informazioni sia possibile farsi un idea di ciò che facciamo. Nella sezione “cosa puoi fare” ci sono tutte le indicazioni per dare una mano ai progetti in corso.

 


 


salute@sanremonews.it per ogni domanda, relativa agli articoli usciti, o qualsiasi altro quesito.

 

 

 

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Tutti gli articoli redatti dal sottoscritto, siavvalgono dei maggiori siti e documenti  basati sulle evidenze, ove necessario verrà menzionata la fonte della notizia:  essi NON sostituiscono la catena sanitaria di controllo e diagnosi di tutte le figure preposte , come ad esempio i medici . Solo un medico può effettuare la diagnosi ed approntare un piano di cura.

Immagini, loghi o contenuti sono proprietari di chi li ha creati, chi viene ritratto nella foto ha dato il suo consenso implicito alla pubblicazione.

Compito dell’infermiere è la somministrazione della cura, il controllo dei sintomi e la cultura della educazione sanitaria

 

Roberto Pioppo

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