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| 12 febbraio 2016, 17:00

L'Agnesi è morta, viva l'Agnesi!

Chiusa una fabbrica, se ne fa un'altra (Fossano-Imperia due a zero e pasta al centro).

L'Agnesi è morta, viva l'Agnesi!

Dopo esserci allettati con il profumo di sughi e sughetti da produrre in futuro nello storico stabilimento di Imperia. Dopo aver fantasticato sulla creazione di un padiglione dedicato alla dieta mediterranea, con tanto di museo della pasta che fu e di un laboratorio ricerca e sviluppo. Dopo aver ascoltato il resoconto di riunioni sempre definite “positive” e aver visto la fabbrica chiudere a settimane alterne, perché bisognava smaltire quei pacchi eccedenti in magazzino. Dopo il “non permetteremo che chiuda” di Carlo Capacci e il “modello di sviluppo” proposto da Giovanni Toti (sarebbe interessante sapere qual è). Dopotutto, straparlavano.

IPSE DIXIT

«Credo che non se ne possa andare in Piemonte un marchio come questo, perché sarebbe una perdita di valore per la Regione. Spero che si possa prendere una strada con l’amministrazione comunale di Imperia e con l’imprenditore che c’è adesso, dandogli le ragioni e le motivazioni per restare qua e continuare a investire, noi possiamo offrirgli fiscalità di vantaggio, possibilità urbanistiche, un ristorante sul tetto».

Giovanni Toti, quando era in campagna elettorale

«L’azienda ha garantito la volontà di sviluppare, oltre alla produzione di pasta, anche nuove linee di prodotto e ha ribadito la strategicità del marchio Agnesi, quindi la sua permanenza sul territorio di Imperia».

Edoardo Rixi, assessore allo Sviluppo economico - 21 gennaio 2016

CONSECUTIO TEMPORUM

«Non possiamo assolutamente più produrre pasta a Imperia, perché non è competitiva, non è economica. Abbiamo scelto Fossano, dove abbiamo già predisposto degli investimenti per ampliare il reparto pasta».

Ulderico Falconi, dirigente del gruppo Colussi - 11 febbraio 2016

L’Agnesi è morta, viva l’Agnesi! Per una più redditizia continuità aziendale, dal 2017 Fossano confezionerà gli spaghetti e Imperia chiuderà. Era proprio difficile immaginare che le produzioni di nicchia avrebbero potuto salvare il veliero in regale navigazione dal 1824 (il nome “Imperia” non figura più sulle nuove buste vintage). Dirigenti e politici continueranno a discettare di sughi e sughetti, pasta fresca (trofie?), formati speciali, marketing strategico e ricollocamento degli oltre cento lavoratori. Sarà meglio non crederci troppo. Il futuro per Imperia è nel turismo. Magari con nuove possibilità urbanistiche e un ristorante stellato sul tetto, vista mare.

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Luca Re

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