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Al Direttore | 07 febbraio 2016, 12:31

La storia del nostro confine dalla firma del trattato di Utrecht del 1713 al Congresso di Vienna del 1814-15

A raccontarcela è lo storico matuziano Andrea Gandolfo

La storia del nostro confine dalla firma del trattato di Utrecht del 1713 al Congresso di Vienna del 1814-15

Proseguendo la storia del confine italo-francese nelle Alpi Marittime, Andrea Gandolfo si sofferma in questo articolo sulle vicende del nostro confine nel periodo compreso dalla firma del trattato di Utrecht, nell’aprile 1713, che fissò per la prima volta il tracciato della frontiera lungo la displuviale alpina, e il Congresso di Vienna del 1814-15, che sancì il ritorno di Nizza e della Savoia al Regno di Sardegna. Ecco dunque il racconto della storia del confine sardo-francese dal 1713 al 1814:

"La pace firmata a Utrecht l’11 aprile 1713 al termine della guerra di successione spagnola, stabilì per la prima volta una delimitazione frontaliera ufficiale tra il territorio del Ducato di Savoia e quello del Regno di Francia, con la fissazione della linea di confine lungo la displuviale alpina, fatto che segna l’inizio vero e proprio della storia moderna della frontiera italo-francese. In particolare, nel comprensorio delle Alpi Marittime, il duca Vittorio Amedeo II, che riebbe la Contea di Nizza, acconsentì a cedere alla Francia la Valle di Barcelonnette e la zona circostante allo scopo di garantire ai due Stati limiti naturali lungo la sommità delle montagne. Rimase tuttavia in sospeso l’attribuzione della sovranità sui due villaggi di Entraunes e Saint-Martin-d’Entraunes, reclamati dai francesi ma non cedibili per il governo di Torino, che alla fine pervenne ad un accomodamento con Parigi, perfezionato il 4 aprile 1718, in base al quale la Francia rinunciava alle sue pretese sui due villaggi contestati in cambio della cessione del paese di Mas, un importante avamposto fortificato nizzardo in Provenza nell’alta Valle dell’Estéron, e del territorio della Valle dell’Ubaye. Nel corso delle trattative di pace, Vittorio Amedeo II avanzò inoltre la richiesta di annessione allo Stato sabaudo del Principato di Monaco, al fine di incorporarne il territorio nel Comune della Turbie, occupato dal principe di Monaco Antonio I nel 1705. La richiesta non fu tuttavia accolta, mentre venne affidata all’arbitrato dei delegati di Francia e Inghilterra la questione del vassallaggio ai Savoia di Mentone e Roccabruna da parte del sovrano monegasco, che il 21 giugno 1714 ne riottenne l’investitura già di sua spettanza in base al vecchio trattato del 1448.

Alla fine della guerra di successione austriaca, la pace di Aquisgrana, perfezionata per il territorio franco-piemontese dagli accordi di Nizza del 4 dicembre 1748 e 21 gennaio 1749, stabilì che le truppe franco-spagnole si sarebbero dovute ritirare oltre il Varo il 26 gennaio ’49, lasciando all’esercito sabaudo il controllo di Villafranca, Montalbano e Nizza, dove sarebbe stata ripristinata la sovranità del re di Sardegna entro il 25 febbraio successivo. Una decina di anni dopo si giunse invece ad una normalizzazione dei rapporti franco-piemontesi in merito alla delicata questione delle rispettive frontiere con la stipulazione di un accordo il 24 marzo 1760 a Torino. La firma del trattato fu peraltro preceduta da una fitta schermaglia tra plenipotenziari sardi e francesi in merito soprattutto alla sovranità sulla piazzaforte di Guillames, che svolgeva un ruolo strategico particolarmente rilevante nel sistema difensivo della Provenza orientale. Al termine di lunghe e complesse trattative, i delegati piemontesi riuscirono a convincere quelli transalpini che, per facilitare il buon andamento dell’amministrazione e le comunicazioni tra territori dello stesso Stato, era assolutamente indispensabile che Guillames venisse annessa alla Contea di Nizza al fine di assicurare dei rapidi collegamenti con la valle d’Entraunes. Nonostante l’argomentazione addotta dal governo sardo su tale questione non li avesse pienamente convinti, i plenipotenziari francesi finirono con l’accettare la proposta piemontese dando il loro benestare all’inglobamento del villaggio di Guillames nel territorio sardo .

Nel complesso, il tracciato confinario disegnato nel trattato risultò decisamente più rispondente alla conformazione fisica del territorio delle Alpi Marittime, nella zona frontaliera tra la Francia e il Regno di Sardegna, rispetto a quelli fissati dalle precedenti convenzioni, e in particolare dalla pace di Utrecht. Soppressa l’enclave francese dell’Alto Varo, fu stabilito che la nuova frontiera avrebbe seguito, fino alla valle di Daluis, una successione di creste scoscese, dopo le quali avrebbe oltrepassato il corso del Varo, lasciando in territorio francese la città di Entrevaux, situata in posizione strategica rilevante sul medio e alto Varo, e il villaggio di Castelet. Da questo punto la linea di confine avrebbe nuovamente attraversato il fiume, passando quindi per lievi alture e diversi torrentelli, tra i quali il ruscello Rioland, fino a raggiungere l’Estéron a valle di Aiglun . In tal modo il corso del Varo fino alla sua foce ad ovest di Nizza vide confermata la sua funzione di confine storico tra i domini sabaudi e la Provenza, alla quale furono peraltro assegnati alcuni villaggi di frontiera, tra cui Gattières, mentre fu deciso che il francese sarebbe stato mantenuto come lingua amministrativa della Contea nizzarda, nonostante l’italiano rimanesse la lingua d’uso corrente. A pochi mesi di distanza dal trattato di Torino venne inoltre concluso un accordo tra il re di Sardegna Carlo Emanuele III e il principe di Monaco Onorato III in merito alla delimitazione dei rispettivi confini tra il comune di Monaco e quello della Turbie. L’accordo venne alla fine raggiunto nel novembre 1760 dietro promessa del sovrano monegasco di adottare tutte le misure necessarie per contrastare efficacemente il contrabbando di sale che avveniva presso i magazzini dei Grimaldi situati nel territorio di Mentone.

Negli anni successivi al trattato del 1760 la situazione frontaliera nel settore delle Alpi Marittime non subì alcuna modifica fino a quando, poco più di tre anni dopo lo scoppio della Rivoluzione francese, anche la Contea di Nizza fu seriamente minacciata di invasione da parte delle truppe rivoluzionarie. Le mire egemoniche allora emerse furono motivate soprattutto dall’aspirazione della Francia rivoluzionaria a realizzare l’unità della nazione entro i suoi confini naturali. Dopo una sparatoria intercorsa alla frontiera del Varo tra dragoni piemontesi e attivisti rivoluzionari ai primi di luglio del 1792, il governo di Torino fece presidiare la linea del Varo con trinceramenti, artiglierie e truppe, mentre venivano contemporaneamente rafforzate le guarnigioni di stanza a Nizza, Roccabigliera, Sospello e Saorgio. Il comandante delle truppe nizzarde, il generale svizzero De Courten, fece anche presidiare le rive del Varo con numerosi soldati per fronteggiare adeguatamente un eventuale sbarco dei francesi sul litorale del fiume. Tutte queste misure precauzionali non poterono tuttavia impedire la tanto temuta invasione, che si concretizzò il 22 settembre 1792, quando le truppe rivoluzionarie, al comando del generale Anselme, varcarono la frontiera giungendo sette giorni dopo a Nizza, che fu evacuata dai Piemontesi praticamente senza opporre alcuna resistenza. A distanza di pochi giorni caddero pure le fortezze di Villafranca e Montalbano, che erano state abbandonate al loro destino da De Courten già la sera prima dell’entrata delle truppe di Anselme nel capoluogo della contea. Tra il 16 e il 22 ottobre le forze sarde si asserragliarono in Val Roia, presso il Colle di Braus, dove respinsero più volte i ripetuti attacchi francesi, ripiegando quindi sulle più munite posizioni di Saorgio e Breglio.

Il 4 febbraio 1793 la Convenzione Nazionale aveva intanto ufficialmente sancito l’annessione alla Francia della Contea di Nizza, ribattezzata per l’occasione "Dipartimento delle Alpi Marittime" (denominazione che - pur tra molte traversie - avrebbe mantenuto fino a oggi), e suddivisa per l’occasione in tre distretti, aventi per capoluogo Nizza, Monaco e Puget-Théniers. La Convenzione stabilì inoltre i confini della nuova provincia con gli altri dipartimenti francesi e con il territorio del Regno di Sardegna e della Repubblica di Genova. Secondo tali disposizioni, il distretto di Nizza si trovò a confinare a est con il colle d’Esa e i comuni di Sospello, Molinetto e Tenda, a ovest con il Varo, la Tinea e il torrente Robione e a nord con le montagne d’Isola, di Valdieri e il comprensorio della Trinità nel territorio di Entracque; il distretto di Monaco risultò invece limitato a est da Ventimiglia e dagli altri comuni genovesi della Riviera di Ponente, a ovest dai colli di Villafranca, Peglia, Lucerame, Lantosca, Belvedere e San Martino di Lantosca, e a nord da Limone e dalla catena montuosa della Certosa; mentre le frontiere del distretto di Puget-Théniers vennero fissate a est con il Varo, la Tinea, il Robione, le montagne di Vinadio e la Valle Stura, a sud con la valle dell’Estéron, a ovest con il dipartimento delle Basse Alpi e a nord con quest’ultimo e la vallata dell’Argentera.

L’11 febbraio riprese la guerra con i francesi che sferrarono un violento attacco contro le postazioni austro-sarde dislocate a Raus, Aution, Bruis e Sospello, con ulteriori avamposti a Utelle, Lantosca e Molinetto. Dopo qualche successo iniziale i francesi vennero respinti con forti perdite, mentre, dalla parte di Ventimiglia, il governo genovese non si preoccupava minimamente di fortificare le sue frontiere con il Nizzardo, forse nella speranza che le autorità parigine avrebbero rispettato la neutralità della Repubblica. L’aggravamento della situazione militare e il perdurante sbarramento del bacino del Roia da parte delle forze austro-sarde, indussero però il governo francese a rompere gli indugi e ordinare alle truppe, guidate dal generale Arena, di varcare il confine di Ventimiglia il 6 aprile 1794 e penetrare in territorio genovese. Le successive operazioni militari furono condotte dal generale Mouret lungo il litorale, con una parte di truppe inviate in Valle Argentina e un’altra a Oneglia, dal generale Masséna verso la Val Nervia, dal generale Hammet in direzione dell’attuale Valle Impero e dal generale Lebrun contro le munite posizioni nemiche di Abeglio e Airole. La breve campagna che ne seguì permise ai francesi di occupare la strategica posizione del Colle di Tenda, mentre tutti i paesi già appartenenti alla Contea di Ventimiglia venivano annessi alla Francia e incorporati nel Dipartimento delle Alpi Marittime. La giovane Repubblica riuscì pertanto a conseguire una linea confinaria estremamente vantaggiosa, che le consentiva di assumere pure un atteggiamento offensivo grazie al possesso delle frazioni di Upega, Carnino e Realdo, che, situate al di là dello spartiacque orientale della Roia, le permettevano di affacciarsi sulle valli del Tanaro, dell’Argentina e dell’Arroscia. L’anno successivo si registrarono nuove vittorie delle armate rivoluzionarie al comando di Masséna, che sconfisse ripetutamente l’esercito piemontese in varie località della Liguria, arrivando ad occupare la città di Savona. Al generale nizzardo successe il giovane Napoleone Bonaparte, che, dopo aver battuto le forze piemontesi a Montenotte e Millesimo, costrinse il re di Sardegna Vittorio Amedeo III a firmare l’armistizio di Cherasco del 28 aprile 1796, con cui il sovrano sabaudo si impegnava formalmente a cedere alla Francia la Savoia e le contee di Nizza, Tenda e Breil. Gli accordi di Cherasco furono poi perfezionati dal trattato di pace siglato a Parigi il 15 maggio 1796, che rese operativa la cessione dei territori già sardi alla Prima Repubblica francese, il cui tracciato frontaliero con il Regno di Sardegna venne precisato per l’intero percorso nel relativo documento di confinazione, firmato a Demonte il 20 ottobre 1798. Nel Nizzardo, in particolare, la nuova linea di confine venne fatta coincidere di fatto con la displuviale che separa le valli Stura e del Gesso da un lato, da quelle della Tinea, della Vesubia e della Roia dall’altro, con l’aggregazione quindi alla Francia dell’intera Val Roia.

A pochi mesi di distanza si consumò la fine del regime aristocratico genovese, rimpiazzato nel giugno 1797 dalla Repubblica Ligure, che abolì immediatamente le istituzioni amministrative locali e suddivise il territorio ligure in ventotto distretti. Nell’estremo Ponente furono costituiti il distretto del Roia, con capoluogo Ventimiglia , e quello di Mentone, ripartito in cinque giurisdizioni, a capo delle quali vennero scelti i centri di Mentone, Perinaldo, Briga, Sospello e Monaco. Nel 1802, nell’ambito dei provvedimenti adottati per favorire una riconciliazione tra Francia e Santa Sede, il governo francese decise di smembrare la Diocesi di Ventimiglia per armonizzare la sua giurisdizione con la nuova ripartizione territoriale della zona. Tutte le parrocchie divenute nel frattempo francesi vennero allora staccate dall’amministrazione intemelia, alla quale rimasero soltanto quindici parrocchie, a cui sarebbero state aggregate per compensazione venticinque parrocchie scisse dalla Diocesi di Albenga ventinove anni dopo. Nel giugno 1805 il territorio intemelio venne infine annesso insieme al resto della Liguria all’Impero francese, con la zona da Ventimiglia a Taggia inserita nel Dipartimento delle Alpi Marittime, retto dal 1803 dal prefetto Marc-Joseph de Gratet Dubouchage, destinato a rimanere in carica fino alla caduta del regime napoleonico nel 1814 . Con l’annessione della Liguria e degli altri territori italiani, Napoleone mirava in particolare a configurare uno stato imperiale che superasse le anguste frontiere nazionali dei suoi sempre più vasti domini. Nel corso dell’età napoleonica non si sarebbero peraltro verificati ulteriori cambiamenti nell’organizzazione territoriale e amministrativa del dipartimento, tranne il passaggio del quartiere di Garavano, sino al Vallone di Longoira o di San Luigi nelle immediate vicinanze dei Balzi Rossi, dal Comune di Ventimiglia a quello di Mentone . La piccola amputazione territoriale, decretata dal governo di Parigi il 7 maggio 1808, avrebbe in seguito assunto particolare rilevanza in quanto, dopo la cessione del circondario di Nizza alla Francia nel 1860, la linea divisoria tra Mentone e Ventimiglia stabilita nel 1808 sarebbe diventata il confine di Stato tra Italia e Francia, in corrispondenza del ponte di San Luigi sopra il corso dell’omonimo torrente.

Gli anni del periodo napoleonico furono inoltre caratterizzati dalla particolare attenzione con la quale il governo imperiale curò la manutenzione e l’ammodernamento della rete stradale, che nel dipartimento delle Alpi Marittime era costituita soprattutto da quella della Cornice, iniziata nel 1810 per volontà dello stesso Napoleone nell’ambito del piano generale di riassetto delle comunicazioni stradali varato in quegli anni dall’amministrazione imperiale. La strada della Cornice, parte della grande arteria che univa Roma e Parigi, fu quindi terminata nel 1813, consentendo finalmente un rapido allacciamento della Liguria alla Contea di Nizza, che era allora collegata soltanto con Torino attraverso la strada carrozzabile del Col di Tenda. In montagna esisteva inoltre la strada della Tinea, che però era estremamente stretta e malagevole tanto da non permettere nemmeno il transito delle vetture, le quali potevano invece passare per il valico di Tenda, dove fin dall’età napoleonica era stato avanzato il progetto di aprire una galleria per facilitare il passaggio delle carrozze. Trascorsi gli anni del dominio napoleonico senza mutamenti territoriali di sorta nella zona delle Alpi Marittime, nel secondo articolo della Convenzione d’armistizio firmata il 23 aprile 1814 fu stabilito che gli eserciti delle Potenze alleate avrebbero abbandonato il territorio della Francia occupata, restituendole i confini che questa aveva al 1° gennaio del 1792, fatto che determinò tra l’altro il ritorno del territorio della Contea di Nizza sotto la sovranità del re di Sardegna. Ripreso possesso del Nizzardo in seguito alle disposizioni previste dal trattato di Parigi del 30 maggio 1814, Vittorio Emanuele I vi inviò il 19 giugno seguente il generale Luigi Cacherano D’Osasco, il quale, nelle vesti ufficiali di nuovo governatore, si installò in città insieme ad un battaglione austriaco e a un reggimento anglo-siciliano destinati a stabilirvi una guarnigione. Dopo l’effimera avventura dei Cento Giorni e la definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo nel giugno 1815, le potenze vincitrici stipularono un altro trattato a Parigi il 20 novembre 1815, con il quale venivano annullate tutte le conquiste e annessioni francesi, ripristinando la linea di demarcazione tra i domini sabaudi e la Francia in vigore nel 1790 lungo la frontiera con la Savoia e la Contea di Nizza, mentre nel dicembre del ’14 i plenipotenziari riuniti a Vienna avevano approvato l’ingrandimento del territorio piemontese tramite l’annessione della Liguria al Regno di Sardegna, che vedeva così coronato il sogno di poter disporre di uno sbocco al mare su tutta la costa ligure da Ventimiglia alla Spezia.

Dott. Andrea Gandolfo - Sanremo".

Redazione

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