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In Breve

| 27 maggio 2015, 17:00

Le frontiere barbariche

Respingere o accogliere i profughi? La diatriba europea è anche sul confine Ventimiglia-Mentone.

Le frontiere barbariche

Ci sono quelli stipati nei furgoncini, quelli che vagano sui binari della ferrovia, quelli che aspettano e ogni tanto provano a smaterializzarsi. Clandestini, profughi, rifugiati, semplicemente reietti, chiamateli come vi pare. Nessuno li ha schedati né ha preso le loro impronte digitali. Vogliono continuare a scappare, spesso verso i Paesi scandinavi, dove in alcuni casi li aspettano amici e parenti. La libera frontiera per qualcuno diventa barriera. Di là ci sono i cattivoni, gendarmi francesi che in pochi giorni hanno già “riaccompagnato” (respinto, minacciato?) più di 900 esseri umani di varia nazionalità sul suolo italico. Di qua c’è Ventimiglia, sempre più preoccupata per l’emergenza che, sebbene sotto controllo, rischia di acuirsi in fretta.

Etiopi, eritrei, afgani, sudanesi, interi popoli in fuga da guerre e povertà. Viaggi durati mesi, anni, prima ansimando nei deserti, poi pregando di non affondare su una carretta del mare, infine cercando di scomparire a registri e identificazioni. Arrivando così al “passeur” locale che ti chiede cento euro per uno strappo Ventimiglia-Mentone. È l’autostop invisibile della disperazione, o della rassegnazione. Allora sarebbe gradita una risposta di quell’Europa che, proprio in simili casi, dovrebbe manifestarsi, proporre uno straccio di politica condivisa, di soluzione accettabile per regolare le nuove inarrestabili migrazioni.

Bisogna essere ottimisti, perché stanno studiando un piano. Quello delle quote. Peccato che la vicinissima Francia sia tra i più intransigenti oppositori della redistribuzione dei profughi. In buona compagnia di Gran Bretagna, Ungheria, Lituania e altri Paesi meno furiosi ma ugualmente scettici (Spagna e Belgio). Perché, diciamocelo, questi nordafricani e arabi in movimento creano stati ansiogeni, innescano paure e risentimenti. Sono un costo sociale, un problema in più in tempi di crisi. Il massimo che l’Europa sta riuscendo a partorire è il rafforzamento della missione Triton “search & rescue”, pattugliamento delle coste con operatività estesa fino a 138 miglia e ripescamento dei naufragi.

Trascurando le esternazioni più assurde, dallo smontare i motori degli scafisti (Silvio Berlusconi) all’ospitare i profughi nelle case dei pensionati (Alessandra Moretti) manco fossero badanti, si ventilavano incursioni di droni sui litorali libici, con l’obiettivo di distruggere i natanti indesiderati. Respingi e lascia vivere in pace. Può darsi che Bruxelles farà finalmente quadrare il dovere dell’accoglienza comune con la prevenzione del traffico d’uomini, conservando una facciata di rispettabilità. L’Europa dei grandi potrebbe utilmente prendere esempio da don Antonello Dani, parroco di Piani (Imperia) che da qualche mese alloggia alcuni profughi. Hanno ripulito piazzali e spiagge e perfino contribuito a sistemare la strada del monte Faudo, in vista della celebre corsa in salita di giugno. Il loro futuro, forse, è già un pochino in discesa.

Luca Re

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