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Al Direttore | 21 maggio 2015, 13:36

Le vicende dell’estremo Ponente ligure nei secoli del Medioevo, continua la trattazione dello storico Andrea Gandolfo

Il periodo raccontato va dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente alla fine del Quattrocento

Andrea Gandolfo

Andrea Gandolfo

Lo storico Andrea Gandolfo prosegue la sua trattazione della storia del Ponente ligure nell’età romana, soffermandosi ora sulle vicende dell’estremo Ponente ligure nei secoli del Medioevo, dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente alla fine del Quattrocento. Ecco la sua narrazione della storia della nostra terra nel periodo medievale:

    “Il dominio bizantino, subentrato a quello romano dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, riorganizzò amministrativamente l’estremo Ponente fortificando i due centri principali di Vintimilium e Albingaunum, alla cui guida politica fu nominato un apposito magistrato, mentre il controllo del mare veniva assegnato a Portus Mauricii, che prese forse questo nome in onore dell’imperatore bizantino Maurizio. Nella Riviera di Ponente furono quindi costituiti sei distretti attorno ai castra principali, che nella zona dell’estrema Liguria occidentale erano rappresentati da Ventimiglia, Taggia, San Giorgio di Campomarzio e Albenga, i quali, grazie al loro eccellente sistema difensivo, riuscirono a difendersi efficacemente dai tentativi di occupazione dell’area ponentina da parte dei Longobardi tra il 569 e il 643. Nel corso dell’età bizantina venne inoltre incrementata la navigazione commerciale e introdotto nella legislazione locale il codice giustinianeo, fino a quando, nel corso del 643, la regione cadde nelle mani dei Longobardi guidati da Rotari, che ambiva a procurarsi uno sbocco sul mare e che per ottenere il suo scopo pare non abbia esitato a distruggere Albenga e Ventimiglia, poi successivamente ricostruita sull’altura sovrastante la foce del Roia, anche se la storiografia locale più recente è nettamente propensa a ridimensionare drasticamente la portata eversiva di tale incursione. Nel corso della dominazione longobarda, la Liguria maritima, ridotta praticamente alle dimensioni della regione attuale, fu eretta al rango di Ducato, poi occupato nel 773 dai Franchi di Carlo Magno insieme a tutte le altre località della Riviera, che sarebbe rimasta sotto il dominio carolingio dall’814 all’888. I nuovi dominatori istituirono allora i comitati di Vintimilium e Albingaunum, che rientravano nei confini degli antichi municipi romani, i cui limiti territoriali corrispondevano a loro volta già da alcuni secoli alla suddivisione amministrativa del potere ecclesiastico, cioè alle diocesi, che erano soggette ai vescovi e si erano gradualmente affermate a partire dall’età paleocristiana.

   Nel corso del IX secolo alcuni gruppi di musulmani si stabilirono in Africa e in Spagna, da dove partivano delle flotte di Saraceni (come erano comunemente chiamati allora gli Arabi) per compiere azioni di guerriglia, terrorismo e rapina soprattutto nell’alto Tirreno. Uno di questi gruppi giunse nell’899 a Frassineto, nel’attuale Costa Azzurra, e vi stabilì una testa di ponte per compiere attacchi e scorrerie nelle località vicine, che furono infatti colpite dagli assalti saraceni in ripetute occasioni come la Villa Matutiana nell’891 e vari altri paesi, tra cui Ventimiglia, Taggia, Riva Ligure, Pompeiana e Terzorio, nei decenni successivi. I Saraceni assalivano le città con vere e proprie azioni militari, per terra o per mare, condotte da piccole bande agguerrite, che piombavano dal mare sulle popolazioni inermi, sulle quali si scatenava la loro ferocia, spesso alimentata dall’odio religioso, che si manifestava con stragi, violenze disumane, razzie, rapimenti, incendi e distruzioni. Dopo un periodo nel quale i Saraceni poterono agire indisturbati arrivando a saccheggiare nel 935 la stessa Genova, il re d’Italia Ugo d’Arles riuscì ad organizzare una spedizione contro la base di Frassineto, che però non ottenne i risultati sperati anche per la rivalità tra Berengario d’Ivrea e lo stesso Ugo, che fece sospendere l’assalto finale, consentendo ai Saraceni di riprendersi tanto che, dopo il 950, questi ricominciarono le loro incursioni sulla costa ligure. Intanto il nuovo re d’Italia Berengario II aveva riorganizzato amministrativamente l’Italia nord-occidentale, dividendola in tre marche: l’Obertenga, corrispondente alla zona di Genova, l’Arduinica, comprendente anche i comitati di Albenga e Ventimiglia, e l’Aleramica, relativa all’area torinese. Nel 972 il conte di Provenza Guglielmo d’Arles si fece quindi promotore di una vasta alleanza militare, alla quale aderirono vari feudatari, tra i quali il conte di Ventimiglia Guido, i Grimaldi e tutti i principali signori di Provenza e Liguria, che compirono una serie di massicce azioni militari contro i Saraceni, culminate con l’espugnazione del covo di Frassineto tra il 975 e il 980, ponendo così fine ad una gravissima minaccia alla sicurezza e alla pace delle cittadine rivierasche e delle Alpi piemontesi, che presentavano allora un aspetto assai triste e desolato con i campi abbandonati e i villaggi deserti, in quanto gli abitanti della costa, per sfuggire al pericolo delle incursioni saracene, si erano rifugiati in massa nei paesi delle valli e dei monti, dove avevano ricostruito i loro borghi dedicandosi prevalentemente ad attività agricole e pastorali, mentre la pesca e i traffici commerciali marittimi e terrestri erano quasi del tutto cessati. Contemporaneamente venivano ricostituite anche le proprietà monastiche attraverso la donazione di terre da parte di vescovi, re e signori feudali, come quella del vescovo Teodolfo di Genova agli abitanti della zona matuziana e taggese, che ricevettero in dono i tre quarti dei beni della Chiesa genovese in quanto tali terreni erano stati devastati dai Saraceni e le relative parrocchie non pagavano più le decime. Le donazioni ai monasteri si moltiplicarono quindi nei decenni successivi in concomitanza con l’avvicinarsi della fine del millennio, quando, anche a livello feudale, si verificò una ridistribuzione delle terre tra i principali vassalli da parte dei marchesi Arduino, Aleramo e Oberto, che, assegnando i loro possedimenti, causarono tra l’altro la frantumazione degli antichi comitati, ponendo così le basi per futuri contrasti e lotte intestine. Nello stesso tempo la rinascita economica e sociale del Ponente ricevette un ulteriore impulso da parte dei Benedettini e dai Cistercensi, che incentivarono la graduale ripresa delle attività agricole tramite la restituzione di terre ai contadini e delle case ricostruite alle famiglie, mentre venivano reimpiantati nelle fasce e nei boschi dell’entroterra ulivi e vigneti, riprendevano le attività pastorali, ritornava la pesca nei porti e ricominciavano con rinnovata intensità i traffici marittimi.

    La crisi del sistema feudale aveva intanto rafforzato il potere politico ed economico dei vescovi, che amministravano i loro possedimenti in Riviera attraverso gastaldi e nobili fiduciari e riscuotendo decime e tributi dalla popolazione. La prima donazione di terreni ai vescovi di Genova risale probabilmente al VI secolo, quando un certo Gallione donò al vescovo Siro l’intero bacino del torrente Argentina, mentre, come si è già accennato, il vescovo genovese Teodolfo concesse nel 979 a ventotto famiglie della zona matuziana e tabiese l’uso di terreni, benché il territorio in questione fosse da tempo dipendente dai conti di Ventimiglia. Successivamente anche il monastero femminile di Caramagna nei pressi di Torino ricevette dagli arduinici metà castello e le terre di Porto Maurizio nel 1028, mentre nel 1036 i Benedettini genovesi di Santo Stefano ricevettero in donazione la zona di Villaregia, corrispondente all’incirca al territorio dell’attuale comune di Santo Stefano al Mare, e circa vent’anni dopo fu invece la volta dei monaci di Santa Maria di Pinerolo, che ottennero il convento della Gallinaria e il castello di Porto Maurizio, preceduti nel 959 dai Benedettini di Lerino che acquisirono nel 959 i diritti sul priorato di San Michele a Ventimiglia e sul borgo di Seborga dai conti di Ventimiglia, e all’inizio dell’XI secolo anche l’abbazia di San’Ampelio, situata nelle vicinanze del nucleo primitivo della futura Bordighera, venne ceduta alla gestione dei monaci di Montmajour in Provenza. I diritti parziali del vescovo genovese sui territori di Sanremo e Ceriana, concessi dal conte intemelio Corrado I, vennero poi confermati dal successore Corrado III, mentre altri documenti coevi relativi ad aree limitrofe attestano l’ulteriore allargamento del dominio episcopale genovese su gran parte del territorio dell’attuale provincia di Imperia, dove soltanto Ventimiglia e il suo retroterra rimanevano ancora sotto lo stretto controllo dei conti locali conservando uno status di formale indipendenza dalla Curia genovese.

    L’affermazione della figura del vescovo-conte, che gestiva i territori sottoposti alla sua autorità, garantiva ulteriormente la stabilità politica dell’Impero, creando però anche una situazione caratterizzata da una crescente tensione con i poteri civili dei feudatari laici, la quale avrebbe portato inevitabilmente alla crisi del ruolo tradizionale della Chiesa e alla spinta riformatrice degli ordini rimasti fedeli alla loro vocazione spirituale. La stessa assunzione del titolo di Dominus et Comes da parte dell’arcivescovo di Genova Siro nel 1143, se da un lato riconfermò la facoltà del presule genovese a nominare nei suoi territori visconti, gastaldi e conti e ad amministrare la giustizia, ribadì ufficialmente il potere arcivescovile sul Ponente ligure sia nei confronti del conte che della Repubblica genovese, che ambiva ad estendere la propria egemonia sulla Riviera. La zona più occidentale della regione rimaneva comunque saldamente in mano ai conti di Ventimiglia, che rivaleggiarono con il governo genovese fino al XIII secolo, dovendo anche affrontare nello stesso tempo le mire espansionistiche della vicina Provenza e riuscendo simultaneamente ad ingrandirsi territorialmente nel 1091 con l’acquisizione dei territori delle valli del Maro e di Prelà, mentre i marchesi di Clavesana assumevano il controllo del comitato di Albenga, mantenuto fino al XIV secolo, in cui rientravano i territori della stessa Albenga, oltreché quelli di Andora, Cervo, Diano, Porto Maurizio, Dolcedo, Castellaro e Taggia, poi ceduti a Genova nel 1228; le decime su altri territori, spettanti al vescovo di Albenga, e in particolare quelle su Lingueglietta, Terzorio, Cipressa, Pietrabruna, Boscomare, Villaregia, Pompeiana, Montalto, Carpasio, Bussana, Arma e Sanremo, furono cedute dal presule ingauno alla famiglia dei Lingueglia nel 1153, come tre anni prima altre decime su numerosi paesi della Valle di Oneglia, tra i quali Maro, Conio, Lucinasco, Caravonica, Cosio, Cénova e Lavina, furono assegnati ai conti di Ventimiglia, mentre nello stesso lasso di tempo anche Oneglia si emancipava dal vescovo di Albenga per erigersi a libero Comune, poi passato tramite un’apposita convenzione stipulata nel 1199 sotto il dominio della Repubblica genovese, che proprio negli stessi decenni stava assumendo il controllo di quasi tutti i Comuni dell’estremo Ponente attraverso accordi e trattati con le singole località.

    Intanto le città cominciavano a popolarsi di artigiani, commercianti e piccoli signori, che, per tutelare i propri interessi, si associarono in confraternite e Compagne, sodalizi che erano dapprima a carattere soltanto economico per assumerne successivamente uno anche politico ed erano regolati da apposite norme contenute in un Breve e giurate dai soci o compagni, i quali formavano il Parlamento. La suprema magistratura era ricoperta dall’Abate del popolo, assistito dal Consiglio dei conestabili, l’amministrazione della giustizia era invece affidata ai Consoli, che rimanevano in carica per quattro anni e guidavano gli armati in caso di necessità militari, mentre al vertice della Compagna vi era il Podestà, con funzioni simili a quelle del moderno sindaco. I nuovi Comuni rappresentavano quindi una nuova forma di organizzazione amministrativa e politico-territoriale, che presto si diede dei propri ordinamenti, noti come Statuti e risalenti nella maggior parte dei casi al XIV e XV secolo, con cui si cercava di porre un freno agli abusi dei signori feudali e disciplinare tutte le attività degli abitanti dei vari paesi nell’interesse generale della comunità. Nei primi due secoli dopo il Mille le libertà comunali iniziarono a diventare la principale aspirazione delle popolazioni dell’estremo Ponente, tanto che già nel 1143 a Sanremo era costituita una compagna politica, così come a Ventimiglia, Diano, Porto Maurizio e Dolcedo, mentre gli ordinamenti comunali si stavano nello stesso periodo affermando anche negli altri principali borghi dell’estrema Liguria occidentale. Nel corso del XII secolo la Repubblica di Genova, interessata ad assicurarsi un sempre più vasto dominio territoriale ai confini occidentali della regione, cominciò una lenta penetrazione nei territori dei comitati di Albenga e Ventimiglia, facendo valere il suo prestigio e la sua forza militare soprattutto a sostegno del vescovo genovese, come accadde nel 1130, quando la Repubblica intervenne militarmente a Sanremo, dove costruì anche una fortezza in previsione di una futura guerra contro Ventimiglia, i cui conti furono costretti a giurare fedeltà a Genova, che, ottenuta l’alleanza militare dei marchesi Del Vasto di Savona, attaccò la roccaforte intemelia nel 1140 riuscendo a sconfiggere dopo sei anni il conte ventimigliese Oberto, il quale dovette alla fine giurare fedeltà alla compagna e fare atto di sottomissione alla Repubblica, mentre nel 1153 l’arcivescovo genovese Siro aveva ceduto i propri diritti su Sanremo e alcuni paesi limitrofi al vescovo di Albenga Odoardo, che a sua volta li avrebbe passati al conte di Lengueglia Anselmo dei Quaranta, segno questo del crescente disinteresse della Curia genovese nei confronti della città matuziana, con i cui abitanti gli arcivescovi di Genova ebbero comunque ancora numerose cause per l’affermazione dei loro diritti feudali sul borgo. Intanto ripresero i contrasti tra la Repubblica e il conte di Ventimiglia, che, nel 1158, contando anche sull’amicizia dell’imperatore Federico Barbarossa, fece abbattere la fortezza eretta dai Genovesi, che comunque rinunciarono questa volta ad un intervento militare limitandosi a farsi riconoscere per via diplomatica i loro diritti sulla città, in cui venne infine ricostituito un presidio armato.

    In seguito la Repubblica cercò di sottomettere Oneglia e Porto Maurizio, ma non riuscendovi con la prima, rivolse le sue mire sulla seconda, la quale, ancora sottoposta formalmente al dominio dei Clavesana, venne occupata militarmente nel 1184, mentre, l’anno successivo, il conte Ottone di Ventimiglia, venuto in contrasto con i consoli della città intemelia e assediato nei suoi castelli di Roccabruna, Sant’Agnese e Dolceacqua, fu aiutato dal governo genovese, che impose ai consoli ventimigliesi di sottoscrivere delle sfavorevoli convenzioni a favore della Repubblica, la quale, nel 1193, prese di nuovo le armi contro Ventimiglia, che però, sostenuta da Pisa e dal conte Ildefonso di Provenza, riuscì a resistere vittoriosamente agli attacchi genovesi. Tra il 1199 e il 1200 il governo genovese stipulò quindi tutta una serie di alleanze con varie località della Riviera, tra cui Albenga, Oneglia, Sanremo e Porto Maurizio, che si impegnarono a fornire a Genova uomini e navi, a contribuire alle spese militari, a rispettare i divieti vigenti a Genova, a non navigare senza permesso oltre la Sardegna e Barcellona e a combattere i nemici della Repubblica, con particolare riferimento ai conti di Ventimiglia, contro la quale Genova sferrò un nuovo attacco nel 1200 che si concluse con una pace umiliante e onerosa per la città intemelia stipulata l’anno successivo. Nel 1204 Genova costrinse quindi i rappresentanti del principali Comuni costieri e dell’interno a sottoscrivere un trattato con cui questi si obbligavano ad aiutarsi reciprocamente e a mantenere la pace, dopodiché la Repubblica intervenne militarmente contro Taggia, mentre gli abitanti di Sanremo e Ceriana si ribellavano nuovamente all’arcivescovo genovese, che represse i disordini esiliando i responsabili della rivolta e confiscandone i beni. Frattanto riprese violenta la guerra contro Ventimiglia, che venne assaltata nel 1219 dai Genovesi, che la sottoposero ad un durissimo assedio, al termine del quale la città, priva ormai di forze e completamente dissanguata, ottenne finalmente la pace stipulata a Genova nel 1222 con cui la città fece atto di completa sottomissione alla Repubblica.

    Sei anni dopo il governo genovese proseguì con successo la sua penetrazione nell’estremo Ponente acquistando dai Clavesana i loro castelli e i loro beni di Diano, Porto Maurizio, Castellaro, Taggia, San Giorgio, Dolcedo, Perinaldo e Bussana, mentre nel 1233 fu la volta della sottomissione formale degli stessi Clavesana, dei Lengueglia e dei conti del Maro. Cinque anni dopo i Comuni rivieraschi si ribellarono nuovamente a Genova, spalleggiati dall’imperatore Federico II, ma furono sconfitti dalle forze armate della Repubblica, che si accanì in particolare contro la tradizionale rivale Ventimiglia e Porto Maurizio. Nel 1241 Genova si accordò con Berengario V di Provenza ad Aix, mentre dieci anni dopo Ventimiglia si sottomise definitivamente alla Repubblica con una convenzione sottoscritta poco dopo anche dal marchese Bonifacio di Clavesana, da Albenga, da Savona e dal marchese Del Carretto. Anche numerosi altri paesi della Liguria occidentale passavano sotto il controllo di Genova, che completava così il suo dominio sull’intero comprensorio. Con una mossa inaspettata il conte Guglielmo II di Ventimiglia cedeva nel 1258 al conte di Provenza Carlo d’Angiò la sua contea, che acquisiva anche dai cugini di Guglielmo i diritti sulla Val Roia allo scopo di costruirvi una strada per consentire il trasporto del sale da Hyères al mercato di Pavia. L’operazione venne tuttavia aspramente contrastata da Genova, che si oppose alla cessione di Tenda, Briga e paesi vicini, stipulando nello stesso tempo accordi con Dolceacqua e occupando Badalucco, Baiardo, Arma, Bussana e Triora. La Repubblica riuscì alla fine a concludere un accordo pacifico con Carlo d’Angiò ad Aix nel 1262, in base al quale Ventimiglia venne definitivamente privata del suo naturale retroterra, mentre Genova conservava il controllo della fascia costiera da Mentone (formalmente ancora sotto il dominio del signore guelfo Guglielmo Vento) a Sanremo, la rocca di Monaco era invece assegnata alla famiglia genovese dei Grimaldi, gran parte della Val Lantosca e il tratto medio della Val Roia al conte di Provenza, e il territorio di Briga e Tenda rimaneva infine in mano al conte Guglielmo II, il cui figlio Pietro Guglielmo sposò nel 1269 Eudossia Lascaris, figlia dell’imperatore di Costantinopoli Teodoro II, dalla cui unione nacque la dinastia dei Lascaris, che avrebbe retto la contea di Tenda e Briga rimanendo fedele all’alleanza con Genova contro le aspirazioni espansionistiche della vicina Provenza.

   A partire dal XIII secolo anche la Liguria di Ponente fu teatro di aspri scontri tra la fazione dei Guelfi, tradizionalmente contrari alla politica imperiale, e quella dei Ghibellini, avversi invece al papa, che riflettevano le differenziazioni presenti nella società italiana dell’epoca, dove queste fazioni nascevano dai contrasti tra le grandi famiglie per la tutela dei loro interessi. Anche nella nostra regione il confronto politico tra le due fazioni fu particolarmente duro con le potenti famiglie dei Grimaldi e dei Vento di parte guelfa che si contrapponevano a quelle dei Doria e degli Spinola della fazione ghibellina. Le lotte tra i due partiti furono particolarmente aspre a Ventimiglia, dove i due signori di parte ghibellina Oberto Doria e Oberto Spinola presero il potere scacciando i Grimaldi che si arroccarono a Monaco, mentre la fazione ghibellina capeggiata da Oberto Doria consolidava le proprie posizioni acquisendo il controllo di Loano, Dolceacqua, Apricale, Isolabona, Perinaldo e più tardi anche Sanremo insieme a Giorgio De Mari. Poco dopo Carlo d’Angiò, divenuto nel frattempo re di Napoli e di Sicilia (1266), fece rioccupare Apricale e nel 1273 procedette alla conquista di Roccabruna, Cosio, Pornassio e cinque castelli della valle di Oneglia, già appartenenti al conte Enrico di Ventimiglia, mentre Oberto Doria, nominato vicario generale della Liguria occidentale, aiutato da Ansaldo Balbo, riconquistava Ormea, Cosio e Pornassio. Dopo un’effimera pace, siglata tra Genovesi e Provenzali ad Aix nel 1276 grazie anche alla mediazione di papa Innocenzo V, Carlo d’Angiò tentò di riconquistare il Piemonte coinvolgendo nel conflitto i Lascaris di Tenda, che seppero tuttavia resistere efficacemente alle mire del re angioino riuscendo così a mantenere il dominio della loro contea, che venne perfezionato tramite un accordo con i Provenzali stipulato nel 1285. Il governo della Repubblica, intanto, procedeva ad acquisire i territori del Ponente ancora rimasti sotto l’anacronistico dominio vescovile attraverso una serie di compravendite, tra cui le più rilevanti furono la cessione del territorio di Sanremo nel 1297 a Oberto Doria e Giorgio De Mari da parte dell’arcivescovo di Genova Jacopo da Varagine e quella delle ville di Oneglia e di Bestagno, del Castello di Monte Arosio e dei paesi di San Pietro, Testico, Poggio Bottaro, Torria, Chiusanico e Gazzelli, cedute nel 1298 a Nicolò e Federico Doria dal vescovo di Albenga, mentre il solo territorio di Seborga, possedimento dei monaci di Lerino, non venne inglobato nei domini genovesi.

    Nel 1350, grazie all’aiuto prestato da Genova alla regina di Napoli Giovanna, la Repubblica si vide restituito il possesso di Ventimiglia, poi ripresa dai Provenzali e quindi nuovamente genovese insieme a Monaco nel 1357, dopodiché si ebbe una fase di intensa guerriglia condotta in particolare dal signore di Dolceacqua Imperiale Doria, che si concluse alla fine con la pace di Lago Pigo, stipulata nel 1365, in base alla quale Genova riottenne il controllo dei suoi territori insieme a quello delle città della fascia costiera. Non passò tuttavia poco più di un ventennio che si inserirono nella lotta per il predominio dell’estrema Liguria occidentale dei nuovi protagonisti: i conti di Savoia, che con Amedeo VII presero possesso di Nizza e delle vicarie vicine con appositi accordi stipulati nel 1388, in forza dei quali i Savoia si garantivano il controllo anche del Colle di Tenda per assicurarsi il collegamento dei loro possedimenti marittimi con il Piemonte. Nel 1395 i Guelfi cedettero quindi la Repubblica di Genova al re di Francia Carlo VI, che l’avrebbe tenuta fino al 1409 e che trasferì Monaco e Ventimiglia ai conti di Provenza, anche se, subito dopo, Genova si riprendeva la seconda, mentre i Grimaldi consolidavano ulteriormente negli anni tra il 1409 e il 1421 il loro possesso di Monaco, Roccabruna e Mentone. Frattanto il duca di Milano Filippo Visconti aveva assunto la signoria di Genova nel 1421, al che Ventimiglia si ribellò ma fu subito ripresa, mentre il conte di Provenza e re di Sicilia Renato d’Angiò tentava di occupare il Nizzardo ma fu fermato dalla strenua resistenza dei Savoia, che avevano come primario obiettivo quello di controllare la strada del sale del Colle di Tenda, giudicata vitale per i loro traffici commerciali e al cui completamento contribuì anche Ventimiglia, mentre il duca di Savoia otteneva la sovranità su Roccabruna e sulla metà di Mentone, che divenne lo scalo principale del sale proveniente dal Piemonte.

    Nel 1470, intanto, trentadue famiglie di Borghetto si erano fatte promotrici della fondazione di un nuovo borgo sul mare, l’odierna Bordighera, attraverso l’integrazione delle loro attività agricole con la pesca nella piccola laguna costiera, detta appunto bordiga, mentre sette anni prima Monaco e Ventimiglia avevano deciso di fondersi in un’unica signoria con la nomina di Lamberto Grimaldi a signore della città intemelia per cinque anni, fatto che non impedì tuttavia lo scoppio di un altro conflitto, protrattosi dal 1466 al 1477, tra gli stessi Grimaldi, Genova, il duca di Savoia, il duca di Milano, i Lascaris di Tenda e i Doria di Dolceacqua, al termine del quale Mentone venne riconquistata e assegnata insieme a Monaco a Lamberto Grimaldi, mentre Ventimiglia passava in via definitiva sotto il controllo genovese. Nello stesso torno di tempo la signoria onegliese dei Doria si sottometteva ai duchi di Milano, mentre nel 1486 la Provenza veniva definitivamente incorporata nel territorio francese e Lamberto Doria era riconosciuto signore indipendente di Monaco (1489), proprio negli stessi anni in cui i Savoia completavano la loro penetrazione politica e militare nei feudi di Briga e Tenda, che passarono gradualmente nell’orbita sabauda.

Dott. Andrea Gandolfo - Sanremo".

Redazione

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