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Politica | 27 marzo 2015, 13:32

Cervo: domani, inaugurazione del 'Bastione a mezzodì'. Il racconto di Luigi Diego Elena della sua storia

"Fu costruito nel 1558 quando si rese necessario un ampliamento della prima cerchia di mura"

Cervo: domani, inaugurazione del 'Bastione a mezzodì'. Il racconto di Luigi Diego Elena della sua storia

“‘Il Bastione a mezzodì’ (data la sua coincidente posizione con l'ora di mezzogiorno), fortilizio costruito nel 1558, realizzato quando si rese necessario un ampliamento della prima cerchia di mura, corpo avanzato delle mura stesse, costituì il caposaldo d'un sistema di difesa comprendente, otre ad altri torrioni lungo le mura, anche due torri litoranee situate una a levante sulla punta di Capo Cervo, detta ‘Torre del Cavo’ o di San Leonardo o Sant’Antonio, costruita nel 1583, l'altra a ponente in regione la Rovere, detta ‘Torre di Santa Maria’ o di ‘Santa Angeletta’. Queste due torri inoltre facevano parte di un sistema di torri-vedette disposte lungo il litorale della Liguria visibili l'una dall'altra. Sulle torri costiere montavano le guardie con consegna ben definita, come risulta anche da un ordine del Senato della Repubblica emanato il 14 luglio 1625 e conservato nell'archivio comunale.
Dal ‘bastione a mezzodì’ due colubrine di grosso calibro potevano battere tutto il braccio di mare antistante l'abitato.
In tal modo veniva tenuto a debita distanza l’accosto di eventuali feluche saracene. Analogo era il trattamento riservato alle imbarcazioni ‘bandite’, ovvero quelle di cui si sospettasse il contagio di una qualche malattia infettiva. Precise e convinte a cannonate tenevano ben lontane da terra per tutto il periodo della quarantena quegli equipaggi. Di fatto erano tempi duri, per chi si ammalava a bordo nel XVI secolo.
Cervo subì l'incubo dei ‘Turchi’ in doppia misura: sulla terraferma, mai sicura dagli improvvisi sbarchi di quei feroci predoni, ed in mare aperto, dove la sua irresistibile vocazione marinara spingeva le sue fragili ‘coralline’ il cui prezioso carico le faceva oggetto di caccia spietata, tanto del pescato quanto dei pescatori, tenuti sotto il costante pericolo di essere catturati e venduti come schiavi.
Sulla terraferma le difese erano costituite dalla cerchia delle mura, sempre via via allargata e ricostruita nel corso dei secoli per inglobare le nuove case del paese in sviluppo: dal castello, che tra le tante sue funzioni svolse sempre anche quella di roccaforte del paese; dal bastione che dominava con le sue bocche da fuoco il braccio di mare in cui Cervo si specchia; e dalle due torri di avvistamento da cui le sentinelle controllavano giorno e notte ogni vela che apparisse al largo, pronte a dare l'allarme in caso di pericolo. Queste torri tronco-coniche sorgono a mare: quella di ‘Sant'Angeletta’ (o ‘Santa Maria’) sull'argine destro del torrente Steria nell'attuale parcheggio a mare di S. Bartolomeo, e quella ‘del capo’, ridotta ormai a rudere, a levante della scogliera delle Ciappellette. Da esse le scolte (soldato o civile armato con funzioni di guardia, sentinella o vedetta) facevano fumate di giorno, o ‘davano il lume’ di notte al primo apparire all'orizzonte della navi barbaresche, consentendo alla popolazione di guadagnare il sicuro rifugio del castello ed organizzare la difesa.
In mare la difesa delle coralline era affidata prima di tutto al numero: le barche si muovevano riunite in flottiglia, pronte a scambiarsi aiuto reciproco; per la traversata da e per la Corsica erano poi anche scortate da una feluca armata. Inevitabilmente però sui banchi di pesca la flottiglia si disperdeva, ed il destino di ogni imbarcazione era così affidato alla buona sorte, alla valentia del suo capitano e soprattutto alla capacità di voga dei suoi rematori nello sfuggire alla eventuale caccia delle veloci feluche barbaresche. Un documento del 1646 vivacemente racconta che: ‘Li XXIII del presente mese se trovò nella medesima fuga con la altre fregatte a la isola de S. Antioco e S. Pietro et hivi allo spuntar del sole fue comparse due galere de infideli che diedono la cachia e per un poco se agiutò per quanto per scampar la vitta e la robba, ma vedendo che le galere si appressavansi discontro, con Padron Francesco Sicardo mentre stavamo nel medesimo luogo da quanto detto Albavera al Siccardo vedesi che siamo appressati doviamo far barca armata assieme e così gli respose il Siccardo, salite sopra il mio vascello con i vostri marinari e remi, e così in quel tumulto et paura che potè essere il primo andare in barca viando senza altro pensamento di salvare robba pensando solo alla vitta’.
Agli operatori marittimi per limitare i danni non restò che organizzarsi in cooperative: a Cervo nel 1650 ‘... fu fatto concerto fra diversi padroni di coralline che essendo preso alcuno di essi dà Turchi dovessero l'altre pagare £. 200 per ogni una, acciò che servissero al riscatto dè presi’. Per gestire le trattative con i ‘Turchi’ si costituì anche un apposito Ordine religioso, i Padri della Redenzione, che aveva l'unico scopo di trattare in Algeri il riscatto dei rapiti. Leggendo Gianstefano Remondini, Sacerdote della Congregazione de Cc. Rr. Di Somasca individuiamo che: ’...i riscatti particolari, particolarmente se essi sono maneggiati da persone intelligenti, che sappiano mostrar in tempo un' aria d'indifferenza, si hanno sempre a miglior prezzo di quelli de' Padri della Redenzione. Questi buoni Religiosi sono obbligati a pagar in Algeri un dazio di tre e mezzo per cento sul lor danaro, di dodici e mezzo per cento sul valore delle merci, e devono far regali considerabili al Dey (che già si era preso per suo conto gli schiavi migliori) ed a certi Officiali del Divano. Pagato il riscatto, il Governatore esige anch'esso molti e vari diritti, che sempre ascendono ad una somma di gran rilievo’. Una vera e propria Rapimenti S.p.A. a forte partecipazione statale, insomma e decisamente florida. Nel solo Ponente ligure furono complessivamente circa ventimila le persone rapite e vendute schiave in Algeri.
Il Seicento sarà poi insanguinato dal permanente conflitto che oppose i Savoia, protesi ad assicurarsi ‘un posto al sole’ in Riviera, alla Repubblica di Genova impegnata ad impedirglielo; per cinquant'anni (dal 1625 al 1673) paese dopo paese il Ponente fu messo a ferro e fuoco dall'uno o dall'altro esercito e spesso da entrambi in rapida successione. Più che i cannoni i veri disastri li combinarono le feroci soldataglie, decine di migliaia di uomini scatenati che violentarono e misero a sacco casa per casa ogni paese che attraversarono; una su tutte fu la città di Ventimiglia, stuprata dall'esercito di Vittorio Amedeo di Savoia. Essa ebbe ben ragione di timbrare i Piemontesi col lapidario ‘Meglio i Turchi’.
Non diversamente andarono poi le cose nel sec. XVIII, con complicazioni internazionali che videro Genova alleata a Francia, Spagna e Prussia contro i Savoia alleati di Austria ed Inghilterra; la fine del secolo ci portò poi Napoleone e la sua effimera Repubblica Ligure, subito sconfessata dal Congresso di Vienna (1815) che definitivamente assegnò l'intera Liguria alla Casa Sabauda.
Secoli bui per Cervo, cui quei bastioni diedero certo una mano e una speranza di sopravvivenza. Certamente anche grazie a quelle solide mura e a quella forte e stoica gente, oggi possiamo essere gli eredi fortunati di tanto patrimonio morale e culturale.

Luigi Diego Elena”.

 

C.S.

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